Usare l’inglese quando serve

No english tax

Usare l’inglese non sempre è indispensabile

Bello l’inglese, quando serve

L’Accademia della Crusca tira le orecchie al ministero dell’Istruzione: nei testi utilizza termini stranieri anche quando potrebbe scegliere una parola italiana

C’è troppo inglese a scuola e così corriamo il rischio di abbandonare l’italiano. L’allarme arriva dalla principale istituzione culturale che studia e protegge la nostra lingua: è l`Accademia della Crusca che si trova a Firenze, in Toscana, la regione dove è nato l’italiano e dove si parla in modo più corretto. L’Accademia della Crusca ha creato un gruppo di esperti, chiamato “Incipit” (che vuol dire inizio in latino), che controlla l’uso delle parole straniere in Italia e spiega quando sono inutili perché ci sono vocaboli identici e magari più belli nella nostra lingua senza bisogno di ricorrere all`inglese o al francese. È successo che nei giorni scorsi il gruppo “Incipit” ha bocciato il ministero della Pubblica istruzione perché nei suoi testi utilizza eccessivi vocaboli inglesi. Il documento considerato sbagliato è il Sillabo per «promuovere l’imprenditorialità» nelle scuole superiori della Penisola. L’Accademia della Crusca prende un po’ in giro il ministero sostenendo per esempio che non serve sapere “lavorare in gruppo” ma adottare un approccio da “team building” oppure non occorre “progettare” ma conoscere il “design thinking”. Il ministro Valeria Fedeli ha risposto che non c’è nessuna intenzione di cancellare la lingua italiana ma ammette anche che ci sono decine di espressioni inglesi nei percorsi usciti dal suo dicastero. Molte volte si ricorre a vocaboli anglosassoni senza che ce ne sia necessità: si preferisce scrivere “fashion” invece di “moda” oppure “staff” invece di “personale”. Ancora: si dice tantissimo “week-end” al posto di “fine settimana” o “party” al posto di “festa”. Non è neppure intelligente parlare di “meeting” quando si può usare la parola “incontro” oppure di “location” che può essere sostituita con “posto”. Sei anni fa sempre l’Accademia della Crusca criticò anche l’idea dell’Università di Milano di tenere i corsi per ingegneri e architetti al Politecnico soltanto in inglese. Una scelta che, secondo gli studiosi toscani, «escludeva» la nostra lingua dalle lezioni in facoltà lasciandola ai margini.

Bravi! Lo dicono tutti

In Italia usiamo tanto inutile inglese, ma negli altri Paesi le persone amano tantissimo l’italiano e lo utilizzano non appena è possibile. Quando negli Stati Uniti o in Germania finisce uno spettacolo particolarmente ben riuscito, il pubblico grida agli attori o ai cantanti lirici bravi anche se parlano in inglese o in tedesco. All’altro capo del mondo un bar o un ristorante può avere un menù che abbonda di parole italiane come cappuccino, espresso, tortellini, fettuccine e grappa. Oppure nei giornali internazionali si può parlare di dolce vita. In tutto il pianeta sono due milioni e mezzo gli alunni stranieri che seguono i corsi d’italiano in 116
Paesi.

Quasi una malattia

Ci prendono in giro persino gli inglesi quando riempiamo i nostri discorsi di parole inglesi inutili. Un giornale britannico ha raccontato che in Italia si usano frasi in simil-inglese, ossia che non esistono neppure nel Regno Unito o negli Stati Uniti. È il caso di baby parking, espressione inventata in Italia per indicare in un grande magazzino uno spazio giochi dove lasciare i bambini piccoli. Ma questa formula non c’è in inglese. L’ossessione tutta italiana di ricorrere a moltissimi vocaboli anglosassoni è stata definita un “morbus”, parola latina che significa malattia. Nei convegni troviamo spesso il “coffee break” che è la “pausa caffè”. Oppure un’azienda del gas può invitare a rivolgersi al “customer service” cioè al “servizio clienti”. Nelle università compaiono gli “student point”, vale a dire “i punti informazioni per gli studenti”, oppure nei giornali si discute di “election day”, ossia del “giorno delle elezioni”. Ma perché usiamo così tante parole inglesi anche quando non ce n’è bisogno? Per gli studiosi della lingua, è soltanto un modo per darsi importanza e per apparire più istruiti di quanto non si è. Parlando con continui termini inglesi si pensa di incantare gli altri mentre, se usassimo davvero bene l’italiano, con il nostro ricchissimo vocabolario, saremmo ben più efficaci nelle conversazioni e in quanto scriviamo.

Popotus (Avvenire) | 24.4.2018

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