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Università, lo strapotere dell’inglese nei bandi: la follia delle traduzioni giurate

L’inchiesta

Università, lo strapotere dell’inglese nei bandi: la follia delle traduzioni giurate

I docenti per il bando del concorso di abilitazione scientifica nazionale non potranno inserire nel curriculum i loro lavori nelle grandi lingue europee

L’archeologo Clemente Marconi fu assunto qualche anno fa come «assistant professor» alla Columbia University, senza avere in tasca neppure una pubblicazione in inglese. Certo, l’inglese lo sapeva. E salendo via via alla cattedra di ordinario e poi ai vertici della New York University ne ha poi scritti diversi di saggi in inglese. Ovvio. Prima, però, manco uno. E alla scoperta che d’ora in avanti, negli atenei italiani, i docenti non potranno inserire nel curriculum ai concorsi i propri lavori in francese, tedesco o spagnolo (e tutte le altre lingue) scoppia a ridere: «Non ci posso credere! È come se gli aspiranti commissari confessassero di non essere all’altezza…».

Le traduzioni giurate
Saranno accettati solo i lavori «stranieri» tradotti in italiano o in inglese. C’è chi dirà: una seccatura, dover tradurre le proprie pubblicazioni che altrove sono un segno di distinzione. Macché, non basterà una traduzione «casalinga»: le traduzioni dovranno essere giurate. Come si trattasse di atti catastali recuperati in archivi bulgari o indonesiani. Lo dicono, dopo un diluvio di «visto… visto… visto…», le regole del bando per il concorso della nuova tornata dell’Abilitazione scientifica nazionale fissate dal Decreto direttoriale n.553 del 26 febbraio del Miur. Dove, come ha denunciato il professor Paolo Liverani sul portale roars.it, «salta immediatamente all’occhio una novità: all’art. 2 comma 4, lett. b), infatti, si prescrive che i candidati debbano caricare sulla piattaforma ministeriale il pdf delle pubblicazioni e “ove la pubblicazione sia redatta in lingua diversa dall’italiano e/o dall’inglese, la traduzione giurata della pubblicazione in un unico file”».

La lingua franca
Come mai? Il primo sospetto, risponde Liverani, è che «l’idea venga da chi pensa di avere dimestichezza con le scienze dure, dove l’inglese è lingua franca. Sottolineo: “pensa di avere”, che è cosa differente dall’avere. Perché anche il più convinto assertore dell’inglese come lingua franca — ma con un minimo di confidenza con le problematiche universitarie — si sarebbe ben guardato dal formulare una tale becera norma per le sue conseguenze devastanti». Esempio? Se è vero che necessariamente chi maneggia certi temi «deve» almeno saper leggere il tedesco, l’italiano, l’inglese, il francese e lo spagnolo, «come si pretende che l’Italia attiri cervelli dall’estero se poi chiede a un germanista di madre lingua tedesca di non presentare i suoi titoli nella lingua e nella cultura di cui si occupa, se non attraverso una goffa traduzione? Perché, si badi bene, si chiede una traduzione giurata, quella cioè richiesta per documenti e atti pubblici (per esempio, un certificato di matrimonio) per cui esistono traduttori specializzati, ma che purtroppo nulla capiscono di letteratura tedesca, di archeologia greca, di storia medievale».

I costi
Domanda: come questa traduzione giurata? C’è chi, come il gruppo «translated.com» offre traduzioni in 186 lingue. Volete un preventivo? Fate conto di chiamarvi Karl Marx, di aspirare a una cattedra in un ateneo italiano e di dover tradurre dal tedesco il «Manifest der Kommunistischen Partei» scritto con Friedrich Engels. Parole da tradurre: 9684. Per capirci: solo un terzo di più del bando del Miur di cui parliamo. Un saggio che nelle impaginazioni editoriali di oggi occuperebbe 45 pagine. Un libretto da infilare in tasca. Una traduzione accurata costerebbe due settimane e 1300 euro. Dopodiché l’originale (cartaceo!) in tedesco e la traduzione (cartacea!) in italiano devono essere portati in un certo ufficio di piazzale Clodio o qualche altro Palazzo di Giustizia dove i funzionari controllano a campione un po’ di pagine. Incipit del Manifesto in tedesco: «Ein Gespenst geht um in Europa, das Gespenst des Kommunismus…». In italiano: «Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo…». E così via

Il «verbale di asservazione»
Ma se il saggio è in una lingua del tutto ignota al funzionario di turno? Allora, tenetevi forte, la soluzione è all’italiana. Racconta un traduttore: «Prendono due o tre pagine a caso e guardano se c’è qualcosa (una nota a pié di pagina, un segno di percentuale o un nome tipo Hans Mayer o Alain Delon…) che faccia intuire che si tratta dello stesso testo». Quindi ai due documenti cartacei viene allegato un «Verbale di Asseverazione» (sic) cartaceo su cui andrà apposta una marca da bollo da 16 euro ogni 100 righe. Più 70 euro fisse per la pratica. Il tutto, par di capire, da presentare per questo bando entro il 27 marzo.

Asservimento
Ma per favore! Chi se l’è inventata un’assurdità così? Porta i mustacchi a manubrio, usa il calamaio e va in ufficio col velocipede? Maria Luisa Catoni, docente di Archeologia alla Normale di Pisa, già presidente di commissione dell’European Research Council e teaching fellow al Wissenschaftskolleg di Berlino («prima di avere una sola pubblicazione in tedesco»), è basita: «Ci sono almeno tre punti inaccettabili. Primo: l’esclusione in un’università italiana delle principali lingue europee. Secondo: l’asservimento totale all’inglese. Terzo: il rovesciamento sulle spalle dei ricercatori e dei docenti, pur riconoscendo le difficoltà di tante commissioni nella valutazione di lavori in lingue meno diffuse, di tutta la fatica e di tutte le spese». Vermondo Brugnatelli, tra i massimi studiosi di lingua berbera e docente alla Bicocca, ha fatto i conti: «Per un lavoro fatto per la Sorbona in francese (quella è la lingua del mio settore) dovrei pagare di traduzione giurata 25.416 euro. Più le marche da bollo, una ogni 100 righe! E quando mai?».

Burocrazia
«È il trionfo della burocrazia sulla scienza», accusa Salvatore Settis, a lungo direttore della Normale, già presidente del Consiglio superiore Beni culturali e tuttora del Consiglio scientifico del Louvre, «lo sanno anche i sassi, ad esempio, che per l’archeologia è più importante il tedesco. E sanno che è un onore, per uno studioso di Raffaello, pubblicare un saggio in tedesco. Perché dovrebbe tradurlo? Ma c’è di più: con tutto il rispetto per l’inglese, credo che sia un oltraggio all’Europa la decisione dell’università italiana di scegliere come lingua franca solo quella di chi dall’Europa ha voluto uscire. E non oso pensare a eventuali ripicche incrociate…». Peggio, rincara Tomaso Montanari: «Se si rinuncia a priori ad avere commissioni all’altezza di giudicare i docenti e di capire almeno le lingue di base europee, cade un pilastro della nostra università. Rispetto alla cultura umanistica, poi, c’è una superbia scientista insopportabile. Usato così, l’inglese sarà un Ogm culturale. E annullerà ogni diversità».

Gian Antonio Stella | corriere.it | 4.3.2021

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