Treccani Invasione di neologismi all’assalto della lingua italiana
Muniamoci di un misericordina ma difendiamoci dal martalismo. Cerchiamo di essere nonbastisti e di non esagerare nel giocattolizzare. Di che si tratta? Questa stravagante terminologia, tradotta in italiano corrente vuol dire: muniamoci di un kit per la nostra quotidiana pratica religiosa (scatoletta con il rosario); difendiamoci dall’eccesso di operosità (da santa Marta, simbolo della vita attiva); smettiamo di dire che tutto quello che si fa non basta mai; non esageriamo nel ridicolizzare il nostro prossimo. Parole sante nonché di nuovo conio! Tre di questi lemmi appartengono a uno dei più attivi produttori di neologismi, ovvero a papa Bergoglio creatore di un originale slang (come balconare, mafiarsi e nostalgiare), mentre bastisti viene dall’economia. Siamo un popolo, linguisticamente parlando, di grandi creativi e le cui doti sono in crescita. Lo assicurano gli studiosi Giovanni Adamo e Valeria Della Valle, direttori scientifici del
volume “Neologismi. Parole nuove dai giornali 2008-2018”, edito dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana.
I numeri
I due analisti hanno vagliato ben 3.505 nuove entrate. Le informazioni raccolte provengono dallo spoglio di 76 quotidiani e rappresentano un insieme di termini fino a oggi mai registrati, molti dei quali stanno diventando di uso comune. Quali sono i settori più investiti da questa crescita? Regno dell’innovazione lessicale è l’economia che include terminologie sempre più usate, da spreaddometro o agenzia di rating, ma anche assai meno familiari e consuete, come criptovaluta (valuta paritaria, decentralizzata e digitale) o finanzcapitalismo (mega-macchina creata per massimizzare il valore di esseri umani ed ecosistemi).
Il secondo settore che gode di ottima salute è quello dell’informatica: raccoglie specialismi in procinto di diventare pane quotidiano, da cloudcomputing (la tecnologia che consente di usufruire, tramite server remoto, di risorse software e hardware) a datacrazia (il potere che scaturisce dalla raccolta dei dati). Pure i camici bianchi si danno da fare quanto a espressioni fino a poco fa inesistenti ma ora abituali, come farmaco equivalente o provax. Per non parlare del politichese, un fuoco di artificio ininterrotto di voci nuove, da cangurare (la pratica che consente di raggruppare emendamenti analoghi per farli annullare o approvare in blocco) a casaleggismo, criccopoli, doppiofornismo, eurotecnocrate e chi più ne ha più ne metta.
Le personalità
Quali sono state fino a oggi le personalità che più hanno contribuito a dar vita a gerghi inaspettati? Zampate linguistiche ne ha ammollate parecchie lo scrittore Guido Ceronetti, a cui possiamo attribuire eterofono (che parla lingue diverse da quelle in uso abitualmente in un paese), ginecida (chi si propone di eliminare fisicamente una donna), guerrasantista (da guerra santa). Caporioni linguistici del mondo dello spettacolo sono: Mina (a cui dobbiamo fantagossip, pettegolezzo inventato; lanacaprinesco, di scarso rilievo e utilità), Adriano Celentano (inventore, per esempio, di pronuclearide, ovvero chi fa parte della categoria di coloro che sostengono la validità dell’energia nucleare), Enrico Vanzina, elaboratore di fulminanti trovate come amicismo.
La palma del politico «imaginifico» va invece a Francesco Rutelli che negli anni della sua carriera nell’emiciclo ne ha dette di tutti i colori (élitometro, misuratore dell’indice di gradimento delle élite; flippismo, decidere affidandosi al caso; polveronismo, tendenza ad alimentare, in modo ingannevole, la confusione).
I giornalisti – politici, culturali, scientifici, economici – di soluzioni fantasmagoriche ne fanno scendere in campo ogni giorno, da chiunquismo (l’atteggiamento di chi ritiene che chiunque possa svolgere ogni tipo di attività) a permalismo (chi ama esibire il proprio anticonformismo non rispettando le convenzioni dominanti), libridine, telepopolo, bocconismo, lodenvestito, maggiordomocrazia, per finire con quello che viene considerato un vizio della categoria, zerbinismo (chi si fa zerbino dei potenti di turno).
Un lessico così fantasioso indica dunque un ampliamento positivo della cultura italiana? «Cresce il numero delle parole ma si sta verificando un generale impigrimento – spiega la Della Valle – I giornalisti, che dovrebbero filtrare le informazioni, utilizzano direttamente le parole straniere oppure ricalcano letteralmente locuzioni non italiane. Rinunciano alla loro missione e non insegnano nulla. E poi le parole nuove hanno oggi spesso un limite. Per esempio utilizziamo tanti prefissi antisistema. Il “non” va per la maggiore: non-Stato, non-crescita, non-verità e così via. I nuovi linguaggi sono i testimoni di un trend di forte creatività ma anche di tanta rissosità».
Mirella Serri | La Stampa | 5.11.2018