«Webete», l’ultima parola famosa.
di Massimo Arcangeli.
Il «webete» con cui Enrico Mentana ha apostrofato l’ennesimo estensore di commenti cretini sui social network è in buona, buonissima compagnia. Molti neologismi d’autore, nei casi in cui siamo in grado di individuarne gli artefici, hanno resistito per secoli, perfino nel passaggio da una lingua all’altra: il latino decentia, da cui il nostro «decenza», fu probabilmente inventato da Cicerone per ricalcare nella sua lingua un termine greco; il francese bureaucratie, tradotto da noi con «burocrazia», è un’altrettanto probabile invenzione di un economista transalpino del Settecento, Vincent de Gournay; «larva» è stato introdotto da Linneo, ispirato dall’omonima voce latina per dire «maschera» (…) «maschera» l`insetto -; «bolgia», nel significato corrente, è una fortunata coniazione dantesca, e «ippogrifo» un prodotto della fervida immaginazione ariostesca; «velivolo» è un’invenzione di Gabriele d`Annunzio, che accolse la parola – la definì «leggera, fluida, rapida» – nel romanzo aviatorio “Forse che sì, forse che no” (1910). «Webete» arricchisce la già nutrita fauna delle volpi – si fa
per dire – che si aggirano nella rete. Il suo parente più stretto, più che il «niubbo», è l`«utonto»: il primo, debitore dell’inglese newbie, indica il novellino che si sforza di migliorare; il secondo è irrecuperabile, e rappresenta un’ibrida specie virtuale sempre più prolifica. Attecchirà il neologismo mentaniano, come tanti suoi illustri precedenti? Temo di no. Non perché meno illustre degli altri, ma perché, pur bello, è tutto sommato occasionale e i suoi familiari non lo aiutano. Di 12 nuovi composti con «acchiappa-»
partoriti tra la fine del 1987 e la prima metà del 1990, accolti in un piccolo vocabolario di neologismi allestito da Augusta Forconi (“Dizionario delle nuove parole italiane”, SugarCo, 1990), ne sono sopravvissuti a stento tre o quattro (fra cui acchiappavip); quel primo elemento magari resiste (acchiappalike, acchiappasogni), con gli acchiappafantasmi di un tempo,
ma quanti cadaveri lessicali ha dovuto lasciarsi dietro? Quanti saprebbero oggi attribuire un significato ad altre parole effimere di quel triennio, anch’esse accolte nel repertorio di Forconi, come «rogermania» (la passione sfegatata per “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, 1988), «catastrojka» (la catastrofe annunciata, a detta degli americani, per gli effetti della perestrojka di Gorbaciov) o guppie, il rampante professionista urbano o metropolitano (yuppie) di
orientamento omosessuale? E cosa resterà del tormentone «petaloso», o dell’«inzupposo» di Banderas eletto da qualcuno a suo improbabile avversario? Ogni anno, mediamente, nascono migliaia di neologismi fra lessicali e semantici (significati nuovi attribuiti a termini già esistenti). Per resistere, però, la loro importanza e rappresentatività devono essere tali da convincere davvero chi prova a scommetterci su. Un compito arduo, come sa bene chi compila un dizionario: non è facile infilare in un imbuto la
complessità di un reale non sempre agevolmente decifrabile. «Webete», per ora, ha dalla sua la viralità virtuale. Basterà, nel lungo periodo? Non credo. Si pensi solo a «burkini». Che aggiunge al quadro un elemento chiave: la fotografia di un oggetto materiale, del quale non riusciremo a sbarazzarci tanto presto.
(Da Il Giornale, 30/8/2016).
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