Asse Cina-Russia
La partita africana che l’Europa sta perdendo
Tutti concordano sul fatto che il futuro dell’Africa determinerà il destino del mondo, ma già da oggi questo continente è oggetto della massima attenzione da parte dei maggiori attori della politica contemporanea. Accanto ai Paesi che si sforzano di tenere ancora viva la loro presenza costruita nel periodo coloniale, operano attivamente in Africa tutte le grandi e medie potenze che agiscono nello scacchiere mondiale.
È nota da molti anni la crescente presenza della Cina, ormai divenuta il principale attore economico di tutta l’Africa. Si tratta di una presenza capillare, che continuerà ad essere la strada obbligata per un Paese che ha il 20% della popolazione mondiale, ma solo il 7% delle terre coltivabili, che possiede il più grande apparato produttivo del mondo, ma non ha le materie prime e l’energia per alimentare la propria industria.
Un Paese per cui la complementarietà con l’Africa (e in misura minore con l’America Latina) non è una scelta, ma una necessità. La strategia cinese ha solo marginalmente risvegliato l’interesse americano nei confronti del continente africano, ma ha invece spinto la Turchia ad esserne un nuovo protagonista, insieme agli Stati del Golfo e all’India. Si tratta di presenze soprattutto economiche anche se, nel momento in cui esse assumono un carattere strategico di lungo periodo, finiscono fatalmente con l’assumere anche un rilievo politico. Negli ultimi anni è tuttavia entrata in campo la Russia, un attore che sta recitando una parte diversa, non più concentrata su una presenza economica, ma su una strategia prevalentemente politico-militare.
I risultati sono finora inaspettati: con l’impegno di poche migliaia di mercenari del gruppo Wagner e con una minima spesa è passato sotto il controllo politico della Russia una notevole parte dell’intero continente africano.
Partendo dal nord è sotto dominio russo la Cirenaica, cioè la parte più ricca di petrolio della Libia e l’area da cui Wagner può controllare una parte del flusso dei migranti verso l’Italia. Procedendo verso sud sono bastati 1.400 paramilitari per prendere il controllo del Mali, Paese grande quasi quattro volte l’Italia.
Completo è inoltre il controllo sulla Repubblica Centro Africana e decisiva l’influenza sul Burkina Faso. A cui si aggiunge qualche disordine provocato in Ciad e un decisivo aiuto al sostegno del governo autoritario del Sudan, aiuto ben compensato dalla possibilità di stabilire una robusta base navale a Port Sudan.
Una serie di obiettivi raggiunti con un impiego limitatissimo di uomini e di mezzi forniti da Mosca al leader di questo gruppo di mercenari che, fino ad ora, ha obbedito agli ordini di Putin, ma ha avuto momenti di aperta tensione sia con il ministro della Difesa che con il capo di stato maggiore dell’esercito russo.
Questi eventi obbligano tutti noi a chiederci se fra Russia e Cina vi sia una strategia combinata, così che la prima costituisca il braccio armato e la seconda il braccio economico di una condivisa presenza nel continente africano. Gli interessi dei due Stati non sono sempre coincidenti perché economia e politica spesso si sovrappongono e si scontrano, ma è certo che esiste perlomeno un nemico comune: l’Occidente e in modo particolare la Francia, cioè il Paese che più rappresenta l’antica potenza coloniale e che più è presente sia culturalmente che economicamente in tutta l’area. Come non ricordare Henry Kissinger quando ammoniva che non era certo geniale da parte degli Stati Uniti agire in modo che Russia e Cina si unissero in un’alleanza sempre più stretta?
Da qualsiasi prospettiva si prendano in esame questi cambiamenti del mondo africano, è comunque doveroso constatare che il rafforzamento del potere russo è sistematicamente accompagnato dalle immagini del rogo delle bandiere francesi. La strategia russa ha infatti identificato nel risentimento antifrancese degli antichi colonizzati il punto debole da sfruttare per la propria penetrazione politica. Con voluta tempestività il presidente Macron ha compiuto un viaggio lampo in Gabon, Angola, Congo-Brazzaville e Repubblica Democratica del Congo per dimostrare che la Francia ha ancora un grande ruolo in Africa anche al di fuori delle sue tradizionali aree di influenza.
E’ tuttavia sempre più evidente che, di fronte a questi grandi cambiamenti, anche il più simpatetico gesto di apertura serve solo a ritardare la ritirata. Per legare l’Africa a noi dobbiamo prima di tutto legare noi all’Africa, con una politica europea che rompa anche simbolicamente con il passato.
Una politica non solo di aiuto ma soprattutto di cooperazione, abbandonando quel senso di superiorità che ha sempre fatto apparire naturale e spontaneo imporre ai Paesi africani le nostre regole e i nostri principi.
Non posso dimenticare quando, al vertice dei G8 del 2007, l’allora presidente del Senegal, invitato come ospite a parlare, disse semplicemente che aveva ricevuto maggiori risposte positive alle sue richieste parlando per mezz’ora con il presidente cinese che trattando per molti anni con gli interlocutori presenti, che pure rappresentavano tutte le grandi, potenti e ricche democrazie del mondo occidentale.
Romano Prodi | Il Messaggero | 18.3.2023