«Più Italia in Europa» significa più italiano e italiani là dove l’Ue viola perennemente i nostri diritti umani linguistici: l’ERA e “I Mille dell’Italiano” chiedono al Suo Governo cinque azioni precise da condurre in Europa.
Illustre Presidente del Consiglio,
ho appena ascoltato il suo intervento alla Camera in relazione al Consiglio europeo del 15 dicembre. Ne sono stato molto favorevolmente colpito perché, come lei, ho sempre auspicato la prospettiva del “più Italia in Europa”, mentre, tutti i precedenti Governi, in particolare dal 1973 in poi, hanno fatto sempre giocare il nostro Paese transnazionalmente “in panchina”, se non “negli spogliatoi”: basti qui ricordare la vergogna del Trattato di Osimo nel 1975.
Data la sequenza temporale dei suoi impegni probabilmente non riuscirà a leggere questa missiva prima del 15 ma essa è in continuità con quanto già chiesto al precedente Governo Draghi, ottenendo da esso un riconoscimento delle nostre ragioni e l’impegno che i nostri suggerimenti “saranno oggetto di approfondimento da parte dei nostri Uffici e in particolare del Dipartimento per le politiche europee”. Purtroppo anche quel Governo – evidentemente anche lui per “più Europa in Italia” – ha poi lasciato cadere nel nulla quella promessa d’azione da noi richiesta come firmatari dell’Appello dei Mille dell’Italiano terza lingua europea. Appello che, su iniziativa del sottoscritto e del compianto Guido Ceronetti, aveva raccolto firme di prestigio come quelle di Dacia Maraini e Vittorio Feltri, del Segretario della Società Dante Alighieri e del Presidente dell’Accademia della Crusca, del Presidente della Federazione Unitaria italiana Scrittori e della Società Dantesca Italiana…
Quell’Appello dei Mille dell’Italiano era nato dalla consapevolezza che con la Brexit, ossia con l’uscita dei 65 milioni d’inglesi dall’Ue, l’italiano sarebbe divenuto la terza lingua europea mentre l’inglese sarebbe retrocesso al 17esimo posto e oltre anche qualora una sola delle ex colonie britanniche l’avesse rivendicata come propria lingua ufficiale al posto dell’irlandese o del maltese[i] cosa, peraltro, non avvenuta a tutt’oggi.
La nostra “stella polare”, com’ha giustamente affermato oggi, deve essere “la difesa del proprio interesse nazionale” e “far sentire forte la voce della nostra Nazione per indirizzare l’integrazione europea verso risposte più efficaci alle grandi sfide del nostro tempo e verso un approccio più attento ai bisogni dei cittadini, delle famiglie e delle imprese”.
Questo non è finora avvenuto – e continua a non avvenire – perché la partecipazione dei cittadini, delle famiglie e delle imprese italiane al contesto europeo ne è stata esclusa per sistematica e brutale discriminazione linguistica.
Il multilinguismo è uno dei fondamentali pilastri dell’Unione europea, la discriminazione su base linguistica è esplicitamente vietata dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ma, a dispetto di tutto ciò, le istituzioni europee nel post Brexit si sono mosse in senso opposto e penalizzante quello che, ora, è però il terzo popolo più grande d’Europa ma, innegabilmente, il primo per storia, lingua e cultura, tradizioni, spirito e stile di vita.
Finora l’Italia ha perseguito il rispetto del multilinguismo nell’Ue e la difesa della lingua italiana – discriminata anzitutto da inglese, francese e tedesco – unicamente in relazione al meccanismo delle assunzioni EPSO, attraverso ricorsi alla Corte di Giustizia da parte dell’Avvocatura dello Stato che ha sistematicamente vinto tutte le cause contro la Commissione.
Bisogna riaffermare la Democrazia (fa bene lei a ricordarla spesso) in tutti i settori nei quali l’Italia e gli italiani sono stati e sono esclusi per discriminazione linguistica. Il Governo, con l’ausilio dell’Avvocatura, dovrebbe adoperarsi affinché la Commissione si attenga scrupolosamente alle regole della Democrazia (dove la minoranza non può sovvertire la maggioranza) e alla lettera dei Trattati europei e, pertanto:
- Le Consultazioni pubbliche europee vengano proposte contemporaneamente con i documenti allegati e atti a poter esprimere i pareri anche in italiano. Qui è da tempo in essere un doppio gioco della Commissione che, anche quando pubblica una consultazione in italiano, ne rende impossibile la partecipazione ai nostri concittadini in quanto tutta la documentazione necessaria è poi esclusivamente nella diciassettesima lingua dell’Ue. Vedasi all’indirizzo https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say_it
- I bandi europei siano pubblicati contemporaneamente in tutte le lingue ufficiali e tutte siano considerate valide anche nei casi di contenzioso. Vedasi in proposito l’ultima e incredibile vicenda dell’Erasmus+ 2021-2027, di 26 miliardi di Euro, nel quale troviamo l’imposizione del monolinguismo anglosassone promosso illegalmente dalla Commissione a “lingua di riferimento in caso di dubbio e contenziosi”.
- Le comunicazioni di finanziamenti, gare d’appalto e progetti europei siano in tutte le lingue ufficiali degli Stati membri, vedasi l’attuale situazione discriminante per tutte le imprese italiane per ben 548 opportunità economiche esclusivamente in inglese in <https://ec.europa.eu/info/funding-tenders/opportunities/portal/screen/opportunities/funding-updates>.
- Le piattaforme europee siano tutte multilingue, a cominciare dalla Piattaforma della politica sanitaria dell’UE, anche questa unicamente nella diciassettesima lingua dell’Ue <https://webgate.ec.europa.eu/hpf/>.
Allorché le Nazioni europee hanno riscontrato la necessità di avere una moneta comune non hanno scelto il Dollaro ma hanno creato l’Euro che, peraltro, aveva tra i suoi scopi anche quello di scalzare il Dollaro quale unica moneta di riferimento internazionale.
Orbene, qualora oggi si riscontrasse la necessità di una lingua comune europea e prospetticamente internazionale per superare l’attuale regime multilingue, ciò non può e non deve avvenire contra legem o con colpi di mano progressivi come quelli portati avanti finora anzitutto dalla Commissione ma, la questione, andrebbe posta ufficialmente e legalmente, attraverso prassi democratiche ed eque con lo scopo biunivoco di scudare e proteggere tutte le lingue dall’aggressione monopolistica di qualsiasi altra lingua nazionale.
Riteniamo dovere etico dell’Italia, all’origine dell’umanesimo linguistico europeo, indicare per prima la necessità di una tale via, e rendersene protagonista. Ben sapendo che le “possibilità ‘politiche’ di una LIA”[ii] sono state affrontate addirittura già nel 1992 dal “nostro” Umberto Eco nel suo saggio, tradotto dalla Laterza in 16 lingue, “La ricerca della lingua perfetta”.
Gentile Presidente del Consiglio voglio concludere questa missiva con delle brevi osservazioni di carattere economico.
Ho ideato e curato il primo saggio europeo di Economia linguistica (materia non a caso sconosciuta in tutte le università italiane) “I costi della non-comunicazione linguistica europea” nel 1996, coinvolgendo numerosi esperti italiani ed europei, con la direzione del Nobel 1994 per l’Economia Reinhard Selten. Lì si evidenziava il fatto che, mentre le attività degli Stati Membri e dell’Unione Europea dovessero essere condotte conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, l’uso delle lingue da parte dell’Ue, ne alterasse invece ed enormemente il mercato, e rappresentasse un grande ostacolo alla libera concorrenza:
- favorendo, a breve termine, i cittadini e le aziende di alcuni paesi – Regno Unito e le sue ex colonie di Irlanda e Malta -;
- creando grandi svantaggi per i cittadini e le aziende di tutti gli altri Paesi;
- ostacolando, altresì e a lungo termine, uno sviluppo economico più efficiente dell’Unione Europea nella sua interezza.
Successivamente a quel saggio, dopo quasi 10 anni, l’economista ungherese Lukács in Aspetti economici della disuguaglianza linguistica[iii] di quella discriminazione calcolò il costo annuale per ciascuno cittadino non anglofono: esso è, aggiornato al 2021, di 1.112,40 Euro a persona. Oltre 495 miliardi di Euro all’anno!
In attesa di un suo cortese riscontro,
deferenti saluti, Giorgio Kadmo Pagano
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[i] Nell’ordine: 1, tedesco, 92.898.566; 2, francese, 65.255.278; 3, italiano, 60.480.665; 4, spagnolo, 46.776.338; 5, polacco, 37.857.352; 6, rumeno, 19.238.034; 7, olandese, 17.131.014; 8, ceco, 10.710.432; 9, greco, 10.429.737; 10, portoghese, 10.199.257; 11, svedese, 10.095.005; 12, ungherese, 9.664.187; 13, bulgaro, 6.954.100; 14, danese, 5.789.709; 15, finlandese, 5.540.792; 16, slovacco, 5.460.615; 17, inglese (irlandesi + maltesi), 5.382.028; 18, irlandese, 4.940.642; 19, croato, 4.106.953; 20, sloveno, 2.079.390; 21, lituano, 1.963.870; 22, lettone, 1.887.408; 23, estone, 1.328.108; 24, maltese, 441.386.
[ii] A pagina 358 del testo di Eco.
[iii] Qui l’intero testo in italiano: https://era.ong/prodotto/gli-aspetti-economici-della-disuguaglianza-linguistica/