Europa e oltre

L’Europa è attrezzata per reagire, non per agire

Nazioni Unite d'Europa, tensotela di Giorgio Kadmo Pagano

Decidere in tempi difficili

L’Europa è attrezzata per reagire, non per agire

Negli ultimi quindici anni, l’Unione europea (Ue) ha affrontato una sequenza di crisi che hanno messo in luce la debolezza della sua struttura decisionale. Contrariamente alle aspettative dei suoi avversari, l’Ue è sopravvissuta a quelle crisi, dimostrando di possedere una sufficiente resilienza istituzionale. Tuttavia, contrariamente all’opinione dei suoi sostenitori, l’Ue ha dimostrato di essere attrezzata per “reagire”, ma non per “agire”. Perché? Perché l’Ue non dispone di un governo in grado di affrontare e risolvere i suoi contrasti interni. Nell’Ue i contrastanti predominanti sono tra gli stati membri. Negli ultimi quindici anni non c’è stata una crisi che non abbia attivato una contrapposizione interstatale. La crisi dei debiti sovrani degli inizi del decennio scorso ha contrapposto gli interessi degli stati del nord e del sud dell’Eurozona. La crisi migratoria della metà di quel decennio ha contrapposto gli interessi degli stati dell’ovest e dell’est dell’Ue.
La crisi pandemica degli inizi di questo decennio ha contrapposto gli interessi dei Paesi cosiddetti frugali del nord a quelli dei Paesi al centro dell’Eurozona e, quindi, ha contrapposto i Paesi dell’Europa occidentale alla Polonia e all’Ungheria sul rispetto dello stato di diritto. La guerra russa all’Ucraina ha condotto ad una crisi energetica che ha contrapposto gli interessi degli stati dipendenti dal gas russo a quelli degli stati che avevano acquisito una loro autonomia energetica. A sua volta, la crisi energetica ha generato una crisi industriale che ha condotto ad una contrapposizione sugli aiuti di stato, con alcuni Paesi favorevoli a promuovere massicci interventi di sostegno alle imprese e alle famiglie nazionali, perché dotati di un sufficiente spazio fiscale per farlo, e altri Paesi contrari a tali interventi, anche perché privi delle necessarie risorse fiscali. A sua volta, la crisi industriale ha generato una contrapposizione tra gli stati sulla riconversione tecnologica delle loro economie, con alcuni Paesi (Germania e Italia) contrari al bando dei motori a combustione dal 2035 e gli altri Paesi favorevoli ad accelerare la riconversione elettrica dell’industria automobilistica. Anche le sanzioni economiche alla Russia hanno condotto a ripetute divisioni interstatali, così come contrapposizioni interstatali continuano ad emergere relativamente al finanziamento della European Peace Facilty, lo strumento con cui l’Ue acquista armi da trasferire all’Ucraina. Per non parlare della politica di difesa, con alcuni stati che rivendicano un’autonomia strategica dell’Ue, altri che temono qualsiasi autonomizzazione dalla Nato, altri ancora che lascerebbero esclusivamente all’America il compito di garantirci
la sicurezza.
Tali contrasti interstatali si sono radicati perché l’Ue non dispone di un processo decisionale capace di ricomporli democraticamente. Nel corso delle crisi, il suo processo decisionale si è venuto a basare sempre di più sulla centralità del Consiglio europeo (dei capi di governo nazionali), l’istituzione che rivendica di essere il “governo dell’Europa”. Tuttavia, il Consiglio europeo ha accentuato quelle divisioni interstatali, invece di governarle. Quando le decisioni debbono passare attraverso il potere di veto, esse arrivano “troppo tardi” e sono “troppo piccole”. E quando, come nella crisi pandemica, il Consiglio europeo riesce a prendere decisioni in tempi stretti, come è avvenuto con l’accordo su Next Generation EU, l’esito è stato vincolato temporalmente (il programma scade nel 2026 e non vi possibilità di replicarlo dopo quella data). Le difficoltà decisionali del Consiglio europeo sono dovute al fatto che i suoi membri (i leader dei 27 governi nazionali) sono stati eletti per fare gli interessi del loro Paese e non l’interesse dell’Ue. La competizione tra governi nazionali peggiora la gestione delle crisi. Ad esempio, durante la pandemia, poiché la competizione tra i governi nazionali per ottenere i vaccini aveva condotto alla crescita impetuoso del costo di questi ultimi, la Commissione europea dovette improvvisarsi come agenzia unica per il loro acquisto, così da ottenere condizioni più favorevoli. Oppure, in conseguenza dell’aiuto militare all’Ucraina, poiché la competizione tra governi nazionali per ricostruire i loro arsenali militari nazionali ha condotto ad una crescita impetuosa dei costi del materiale militare, la Commissione europea ha dovuto trasformarsi nell’agenza per l’acquisto comune di quegli armamenti, così da ottenere condizioni più favorevoli. Per il Consiglio europeo, la Commissione serve, quando serve. Per la sua logica interna, un organismo decisionale basato sull’unanimità, come il Consiglio europeo, non può rispondere a crisi che richiedono risposte immediate e coerenti. Per di più, poiché il Parlamento europeo non ha potere di sanzione nei confronti di quelle decisioni, è inevitabile che queste ultime siano percepite come illegittime da parte di chi ne paga le conseguenze.
Insomma, durante le crisi, la politica europea si è caratterizzata per contrapposizione tra stati che, a loro volta, hanno condizionato lo sviluppo delle contrapposizioni sociali al loro interno. I contrasti tra gli stati sono stati motivati da ragioni economiche, geografiche, culturali, mai da ragioni partitiche. Fino a quando l’Ue non disporrà di un potere esecutivo unitario, controllato da un legislativo rappresentativo dei cittadini e degli stati, difficilmente potrà governare i “tempi difficili” delle crisi e delle loro conseguenze.

Sergio Fabbrini | Il Sole 24 Ore | 19.3.2023

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