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La tratta anglofona delle menti dei bambini. Nuovo documento dell’ERA al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra.

Insomma i Paesi ricchi anglofoni si tengono la loro lingua madre e, anziché rafforzare gli sforzi per sradicare la povertà come stabilito dalle Nazioni Unite nei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile, depredano quelli più poveri tagliando loro persino la lingua, e proprio tra i bambini che sono il futuro di ogni popolo.

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese

United Nations

A/HRC/44/NGO/119

 

Human Rights Council – Forty-fouth session

2 Luglio 2020 – DISCUSSIONE ANNUALE SUI DIRITTI
DEL BAMBINO (ris. 29/07 e 40/14)

È urgente che i bambini più poveri del mondo, come quelli del Congo, e i bambini più ricchi, come quelli delle società britannica o americana, insieme, abbiano una seconda lingua comune, che gli anglofoni abbiano una seconda lingua.

Per conseguire i più alti profitti alcune nazioni hanno posto in essere lo sfruttamento economico e commerciale di essere umani (il commercio transatlantico degli schiavi) e/o l’occupazione di territori appartenenti ad altri popoli e il loro asservimento (il Colonialismo). Delle nazioni che maggiormente hanno “influenzato” altri Paesi, popoli e persone per accaparrarsene ricchezze e favori, sono proprio alcuni studiosi inglesi e americani che ci forniscono le cifre:

  • Stuart Laycock in All the Countries We’ve Ever Invaded: “Dei 193 paesi che sono attualmente stati membri delle Nazioni Unite, i britannici hanno invaso o combattuto conflitti nei territori di 171”, quasi l’89% dei Paesi del mondo;
  • Christopher Kelly in All the Countries the Americans Have Ever Invaded, “Gli Stati Uniti, dalla loro creazione, hanno invaso, combattuto conflitti o esercitato un controllo in 190 su 193 stati membri delle Nazioni Unite”, quasi il 99% dei Paesi del pianeta.

Negli ultimi 90 anni però il colonialismo e le forme di asservimento si sono fatte più sofisticate ed aggressive tanto da prefigurare una nuova forma di genocidio, quello linguistico-culturale, nonché una nuova forma di schiavismo: quella delle menti, che discrimina non sulla base di razza, religione o sesso ma di lingua.

Le stesse nazioni protagoniste di quanto denunciato dagli storici Laycock e Kelly, hanno compreso che, con molto meno rischio e impiego di risorse, si poteva ottenere un bottino ben maggiore attraverso la dominazione linguistica e culturale degli altri popoli. Sono soprattutto gli Stati Uniti, più che il Regno Unito, ad incentivare e strutturare a proprio vantaggio la globalizzazione neoliberista e finanziaria, non contando solo su fattori materiali quali le capacità militari e scientifiche, la produzione di beni e servizi, il dominio di internet, il controllo dei flussi energetici e monetari… bensì propagandando come “internazionalizzazione” quello che in realtà è un processo di assimilazione.

Questo nuovo modo di concepire la colonizzazione consiste nella costruzione dei nuovi Imperi della Mente come li definisce Churchill – in dialogo con Roosevelt – il 6.09.1943 spiegandolo ad Harvard: «Il potere di controllare la lingua offre bottini di gran lunga migliori che portar via le province o le terre di altri popoli o schiacciarli nello sfruttamento. Gli imperi del futuro sono gli Imperi della Mente.»
<http://youtu.be/ohe-6E2L3ks>

La lingua inglese si pone così al centro di un sistema globale, nel quale svolge un ruolo simile, ma ben più deleterio, a quello del dollaro nel sistema monetario internazionale: così come il dollaro col duplice status di mezzo di pagamento e valuta di riserva internazionale consente agli USA di vivere con il contributo enorme del resto del pianeta, la detenzione del monopolio linguistico internazionale conferisce un’ulteriore formidabile rendita di posizione ed una discriminazione per tutti i popoli non anglofoni in quanto:

  1. si concede ai cittadini dei paesi anglofoni un mercato notevole in termini di materiale pedagogico, di corsi di lingua, di traduzione e interpretazione verso l’inglese, di competenza linguistica nella redazione e la revisione di testi, eccetera;
  2. i madrelingua inglese non devono mai investire tempo e/o danaro per tradurre i messaggi che trasmettono o desiderano comprendere;
  3. i madrelingua inglese non hanno un reale bisogno d’imparare altre lingue e ciò si traduce, per i paesi anglofoni, in un risparmio enorme, a cominciare dalle spese d’istruzione. Tale gettito procurato annualmente al Regno Unito è stimato in circa 18 miliardi di Euro. (Françoise Grin<https://drive.google.com/open?id=1NUQ7m-rQ-oJemesiDhYJ8iDe26qefmQJ>)
  4. per contro, i Paesi non anglofoni devono investire sempre più risorse economiche e umane nell’apprendimento dell’inglese. Solo nell’UE i costi della discriminazione linguistica per i 445 milioni di europei non lingua madre inglese sono stimate, per difetto, in €487.408.500.000,00 l’anno (Áron Lukács) per essere, sempre e comunque, eterni secondi rispetto ad un anglofono dalla nascita. Considerato che la popolazione mondiale è di 7,7 miliardi di persone <https://en.wikipedia.org/wiki/World_population> delle quali 380 milioni sono madre lingua inglese <https://www.fluentu.com/blog/english-ita/paesi-dove-si-parla-inglese/> se le restanti 7.320.000.000 persone avessero un grado di sviluppo/benessere pari a quei cittadini europei, la cifra annuale stimata per apprendere l’inglese sarebbe di €8.015.400.000.000,00!
  5. tutte le risorse finanziarie e temporali che non vengono dedicate all’apprendimento delle lingue straniere, possono essere investite nello sviluppo, nella ricerca e nell’insegnamento/apprendimento di altre discipline. Ad esempio, gli Stati Uniti, con i $16.000.000.000 risparmiati sull’insegnamento delle lingue straniere, nel 2004 hanno finanziato 1/3 della loro ricerca pubblica;
  6. anche se i non-anglofoni compiono un considerevole sforzo per imparare l’inglese, non riescono mai, salvo eccezioni, ad avere un grado tale di padronanza che possa loro garantire l’uguaglianza di fronte ai madrelingua:
    – nella comprensione,
    – nei casi di presa di parola in un dibattito pubblico,
    – nelle negoziazioni e nei conflitti;
  7. discriminazione tra cittadini anglofoni dalla nascita e gli altri, nelle assunzioni: sono innumerevoli gli annunci economici nei Paesi non anglofoni nei quali si offre lavoro solo a persone di madrelingua inglese, con la conseguenza che dei cittadini pur con un’ottima conoscenza dell’inglese e magari superiori capacità professionali vengono discriminati e non vengono assunti.
  8. in ogni caso, che ci piaccia o no, sono gli anglofoni di lingua madre a detenere il monopolio legittimo della correzione linguistica, tanto quanto lo Stato detiene il monopolio legittimo della forza, solo essi hanno il diritto di stabilire ciò che è corretto o scorretto nella loro lingua.
  9. esiste poi un ulteriore fenomeno discriminatorio interno ai Paesi non anglofoni derivante dal ceto di appartenenza e dalla capacità economica familiare: infatti, nei Paesi non anglofoni, sono sempre di più le famiglie che mandano i propri figli direttamente in scuole angloamericane parificate presenti nel loro Stato e, successivamente, direttamente in scuole ed università americane o inglesi.
  10. discriminazione dei diversamente abili linguisticamente: trattasi di tutte quelle persone che sono refrattarie all’apprendimento delle lingue straniere e, in modo particolare dell’inglese che, ad esempio, è particolarmente difficile perché ha migliaia di eccezioni e per apprenderlo bisogna in realtà apprendere due lingue, una scritta e l’altra parlata, fatto che complica la vita particolarmente a quei bambini che hanno qualche problema di dislessia.

Dobbiamo quindi esercitare un epocale cambio di paradigma culturale, portare avanti, tutti insieme, un innovativo obiettivo per la libertà, la democrazia e i diritti dei bambini nel mondo, condurre una battaglia nonviolenta di fondamentale e concreta importanza per lo sviluppo sostenibile, la pace, la biodiversità culturale sul pianeta: quella per il diritto dell’umanità alla Lingua Internazionale Ausiliaria (LIA).

Non averla una LIA, costringe ciascun bambino a subire linguisticamente la legge del “più forte” che vuole anche ergersi a “più giusto” ed esercitando un colonialismo delle menti che produce discriminazione ed effetti psicologici, socio-economici, politici e culturali devastanti.

Per conseguire la pace, la fratellanza, la biodiversità culturale ed il benessere all’umanità l’organizzazione progenitrice delle Nazioni Unite, la Lega delle Nazioni vide all’opera durante le prime due Assemblee Generali, i delegati di Brasile, Belgio, Cile, Cina, Colombia, Cecoslovacchia (oggi Slovacchia e Repubblica Ceca), Haiti, Italia, Giappone, India, Persia (oggi Iran), Polonia, Romania e Sud Africa portare avanti risoluzioni che suggerivano alla Lega delle Nazioni di raccomandare l’insegnamento dell’Esperanto nelle scuole come LIA. La maggioranza dei Paesi membri era favorevole all’adozione della Lingua Internazionale (detta Esperanto) come lingua di lavoro, tuttavia il veto della Francia impedì la realizzazione di tale progetto. Comunque, nel 1922 la Lega delle Nazioni approvò unanimemente durante la sua terza Assemblea Generale il Rapporto sull’Esperanto come LIA, anche con il supporto convinto di Lord Robert Cecil, insignito del Nobel della Pace nel 1937.

Un grande studioso di fama mondiale, Umberto Eco ha definito l’Esperanto “un capolavoro linguistico” e ne La ricerca della lingua perfetta (1993) alla Esperanto, LIA, ha dedicato molto spazio prendendo in esame le “Obiezioni teoriche e contro-obiezioni” nonché le reali Possibilità “Politiche’ di una LIA”. Della stessa epoca è un dettagliato e positivo Studio del Ministero dell’Istruzione italiano. Gli stessi Stati Uniti lo hanno utilizzato per quasi 20 anni nelle loro esercitazioni militari
<https://drive.google.com/open?id=1fdSvs1BJ4IWyhI99cd-GtgYq1eDKkjrS>.

Se già fin dal 1922 si è ritenuta la Lingua Internazionale (detta Esperanto) pronta per essere adottata nel mondo come LIA, oggi lo è più che mai: ha 133 anni di sperimentazione linguistica internazionale; è riconosciuta dal PEN Club International 114a lingua di letteratura nel mondo (1993); dal 1994 al 2012 è stata una delle 60 lingue in cui il Pontefice ha impartito la sua benedizione “Urbi et Orbi” ai cattolici di tutto il mondo due volte l’anno; è 64a lingua di traduzione di Google; è lingua di Premi Nobel per l’Economia come il tedesco Reinhard Selten; è lingua di una comunità transnazionale presente in oltre 120 Paesi.

Da molto tempo organizzazioni operanti per la Pace e per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, più o meno occultamente lavorano invece perché ai bambini, specie quelli dei Paesi più poveri, venga negato il diritto ad una istruzione nella loro lingua o, peggio, che vengano costretti a rinunciarvi, strappandoli così alla loro lingua madre in favore dell’inglese, lingua matrigna.

Un chiaro esempio di ciò è quello del Fund For Peace che per la sua campagna contro la povertà fa dire a Khan Mangok Tier, del Sud Sudan, di “essere felice quando pensa che i suoi figli siano sulla strada verso una vita migliore perché hanno già iniziato a imparare a parlare inglese” <http://bottomhundred.org/view/khan>.

Insomma i Paesi ricchi anglofoni si tengono la loro lingua madre e, anziché rafforzare gli sforzi per sradicare la povertà come stabilito dalle Nazioni Unite nei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile, depredano quelli più poveri tagliando loro persino la lingua, e proprio tra i bambini che sono il futuro di ogni popolo.

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