Perché l’arte italiana abbia un futuro deve pensare in italiano, perché un’arte degli Stati Uniti d’Europa esista deve pensare europeo. Questi i motivi che mi hanno spinto a scrivere questa Proposta di Legge, presentata alla Camera dei Deputati il 21 dicembre 2012 grazia alla sensibilità di Marco Beltrandi.
Il 22 dicembre 2012 la XVI Legislatura viene sciolta dal Presidente della Repubblica a seguito delle dimissioni del Governo Monti, impedendone di fatto la discussione in Commissione e in Aula.
Atto Camera: 5683 Proposta di legge: BELTRANDI ed altri: “Disposizioni per la valorizzazione e l’internazionalizzazione della lingua italiana e per l’affermazione dei valori di pace, democrazia, progresso e difesa dell’ecosistema linguistico-culturale attraverso la promozione e l’insegnamento della Lingua Internazionale (detta Esperanto)” (5683) http://leg16.camera.it/126?tab=2&leg=16&idDocumento=5683 |
XVI LEGISLATURA
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CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 5683 |
d’iniziativa dei deputati
BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI
Disposizioni per la valorizzazione e l’internazionalizzazione della lingua italiana e per l’affermazione dei valori di pace, democrazia, progresso e difesa dell’ecosistema linguistico-culturale attraverso la promozione e l’insegnamento della lingua internazionale denominata esperanto
Presentata il 21 dicembre 2012
Onorevoli Colleghi! — Oggi, nel contesto di europeizzazione in cui stiamo vivendo, il problema linguistico si fa sempre più sentire. Si accendono e si susseguono dibattiti sul problema delle lingue di lavoro negli organismi dell’Unione europea e, quantunque sembri che questo sia un problema esclusivo di Bruxelles, esso, al contrario, ci riguarda direttamente. In quei palazzi si va delineando un’Europa in cui la lingua di lavoro è quella di una nazione o di un gruppo di nazioni, lingue che vanno apprezzate per i loro valori storici e culturali, ma che non dobbiamo e non possiamo accettare come «superlingue», non avendo esse qualità e meriti culturali o espressivi superiori alle altre.
A ciò si aggiunge il preoccupante problema della colonizzazione linguistica a opera della lingua inglese. L’inglese è ormai parte integrante dei processi di globalizzazione correnti in ambito commerciale, finanziario, politico, di affari militari, scientifico e mediatico. In questo senso, l’Europa contemporanea non fa eccezione all’interno della tendenza mondiale ad utilizzare e apprendere l’inglese in maniera sempre più estesa. In ogni Stato dell’Unione europea, l’inglese si sta introducendo in ambiti che sono preclusi alle altre lingue europee, a grande svantaggio della democrazia linguistica e a immenso vantaggio dei popoli linguamadre inglese.
L’articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, così come l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, vietano, tra le altre, discriminazioni legate alla lingua.
La lingua costituisce un completamento necessario della personalità degli individui e dei popoli ed è determinante per farli sentire effettivamente partecipi di una comunità (curdi, israeliani, rom e altri).
Rispettare la lingua significa rispettare i suoi parlanti, com’è sancito dai trattati internazionali.
La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce, infatti, all’articolo 26, il diritto di ciascun individuo all’istruzione. Tale diritto è egualmente contemplato nella nostra Carta costituzionale. L’utilizzo sistematico ed esclusivo di una lingua diversa dalla propria, o comunque da quelle ufficiali, nelle pratiche didattiche e di apprendimento costituisce, dunque, una lesione dei diritti umani.
Vi è, dunque, una forte connessione tra la salvaguardia dei diritti umani, il diritto fondamentale all’istruzione e le lingue utilizzate nei contesti formativo-didattici.
Sappiamo che la conoscenza di una lingua dà maggiore potere a chi la padroneggia meglio, ma dobbiamo evidenziare che l’apprendimento scolastico non mette mai il discente alla pari – per fluidità di linguaggio e per capacità espressiva – con chi quella lingua l’ha appresa dalla nascita.
Alcune persone sono particolarmente dotate per l’apprendimento delle lingue, ma per la grande maggioranza per arrivare a conoscere una lingua etnica alla stregua dei nativi, portandosi sullo stesso piano di competitività, è necessario impegnare una buona fetta di quel capitale limitato che è la vita. Tale lingua diventa quindi distruttiva, poiché per recuperare il capitale di tempo e di denaro investito si tende inconsciamente a utilizzarla il più possibile, anche quando non necessario, sostituendola alla lingua materna.
Già oggi alcune «superlingue», subdolamente imposte nella pratica, ci colonizzano portando a una discriminazione di fatto tra i cittadini europei e al parziale disinteresse per la propria cultura. Non dimentichiamo che la lingua influenza anche il modo di pensare e, quindi, il modo di creare. Ne deriva l’importanza che ha per la collettività la preservazione di tutte le lingue. La lingua, del resto, non ha valenze solo culturali e sociali, ma anche importanti risvolti economici.
La situazione attuale dell’uso delle lingue nell’Unione europea con l’obiettivo del «solo inglese» altera seriamente il mercato e rappresenta un grande ostacolo alla libera concorrenza. A breve termine favorisce i cittadini e le aziende di alcuni Paesi, mentre si oppone ai cittadini e alle aziende della maggioranza dei Paesi dell’Unione europea. A lungo termine, è anche un ostacolo a uno sviluppo economico più efficiente nell’insieme dell’Unione europea.
L’istruzione linguistica nell’Unione europea costa circa 60 miliardi di euro annui, senza includere spese di viaggio e di soggiorno in altri Paesi, necessari per imparare un’altra lingua. Facendo conto soltanto delle persone che viaggiano verso il Regno Unito questa somma equivale a 13 miliardi di euro annui. Ciononostante, se si considera il tempo necessario per l’apprendimento delle lingue e se si traduce in termini monetari usando come campione lo stipendio medio nell’Unione europea, si arriva alla somma di circa 210 miliardi di euro annui.
Le spese di traduzione e interpretariato sono molto più basse, ma non trascurabili: circa 6 miliardi di euro annui. Ci sono pure fattori molto più importanti, ma purtroppo sono molto difficili da quantificare. Tra questi fattori troviamo la perdita informativa causata dai problemi linguistici e gli svantaggi per alcuni partecipanti dell’economia internazionale e altre attività di collaborazione. Secondo una stima approssimativa le spese causate da questi fattori nell’Unione europea potrebbero raggiungere i 70 miliardi di euro annui.
Così, si arriva a una somma totale di circa 350 miliardi di euro annui, equivalenti a più del 3 per cento del prodotto interno lordo (PIL) dell’Unione europea (dati del 2005).
In ogni caso, il problema principale non è tanto la quantità ma la distribuzione di questa somma. Il fruitore principale di questa situazione è il Regno Unito, mentre praticamente tutti gli altri Paesi stanno perdendo soldi. Secondo le stime di questo studio i cittadini degli altri Stati membri pagano circa 900 euro pro capite annui al Regno Unito in questa maniera non manifesta. Siccome questo processo è in corso da molti anni, la somma si accumula. Supponendo un periodo di vent’anni a un tasso d’interesse del 10 per cento, questa quantità sarebbe equivalente a 55.000 euro per persona.
Siamo dunque consci che il sistema adottato a Bruxelles è costosissimo e paralizzante. Infatti, per rendere possibili i dibattiti diretti si fa ricorso ad alcune cosiddette «lingue di lavoro», a scapito dei parlanti delle altre lingue. Quantunque l’Italia sia stata tra i fondatori dell’Unione europea, la sua lingua, per la legge dei numeri, data la sua scarsa presenza nel piano globale indipendentemente dalle sue qualità, rischia l’emarginazione e noi italiani con essa.
Eppure, la lingua italiana rappresenta un fortissimo valore aggiunto in molti importanti settori della cultura occidentale. È ormai quasi un luogo comune ricordare che la lingua italiana vive una rinnovata stagione di grande fortuna al di fuori dei suoi confini nazionali. Qualcuno ha anche provato a quantificare il numero di studenti di lingua italiana all’estero, ipotizzando che essa sia attualmente addirittura la quarta o quinta lingua più studiata al mondo. In realtà non è solo la lingua italiana a godere di tale attenzione, ma la cultura italiana nel suo insieme, con riferimento a temi quali scienza e tecnologia, arte, musica e teatro, cinema e fotografia, promozione della letteratura italiana, marchi e disegno italiani, gusto e sapori d’Italia, territori italiani.
Ebbene, nonostante l’Italia, con i suoi saperi e le sue eccellenze e con la sua tradizione storico-artistica possa reputarsi luogo di fondazione dell’Europa, largamente intesa, la sua lingua è oggi marginalizzata in sede europea e sempre di più perfino nel Paese. Siamo arrivati al punto che al Politecnico di Milano, dal 2014, non si insegnerà più in italiano ma solo in inglese, e che a case editrici italiane importanti come Il Mulino, Carocci, Feltrinelli, Marsilio, Laterza, Franco Angeli, Garzanti eccetera viene tolto il mercato scientifico rappresentato dalle università come il Politecnico. I docenti italiani non insegneranno più nella nostra lingua e sempre di più i docenti italiani verranno soppiantati da docenti stranieri e madrelingua inglese. Insomma, le nostre università finiscono di essere italiane e reificano quel che Churchill ebbe a prefigurare nel 1943 ad Harvard: «Il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono quelli della mente».
Basta guardare la modulistica che arriva da Bruxelles o vedere in quali lingue possono essere presentate le richieste di brevetti o di finanziamenti europei. In particolare, nei brevetti ricordiamo che è la sfumatura della parola che li rende rivendicabili oppure no. C’è poi l’ipocrisia della Commissione europea che, a firma del Capo unità-politica delle lingue, scrive che «si è scelto di non puntare su un’unica lingua comune, ma di promuovere il multilinguismo con l’apprendimento di almeno due delle lingue dei vicini oltre alla propria lingua materna». In questo modo si nega a parole ciò che viene fatto in pratica, altrimenti come potrò mai «io», italiano che ho imparato le lingue dei miei vicini francese, tedesco, sloveno e albanese, colloquiare con uno spagnolo o con un inglese e dichiararmi cittadino appartenente alla stessa comunità? Non solo, quando questo principio di «multilinguismo della vicinanza» viene esplicitamente violato dagli Stati membri financo nelle leggi, a Bruxelles si alzano le mani dichiarandosi incompetenti, poiché si dice che le politiche educative e quelle linguistiche sono appannaggio dei singoli Stati. Dunque, si lascia fare alla tendenza attuale, più o meno guidata, di privilegiare l’uso di alcune lingue, sostenendo tale scelta con l’effettivo uso che di queste lingue si fa nei rapporti internazionali. È innegabile che tale pratica di ufficializzazione, camuffata come semplice lingua di lavoro, mantiene comunque l’effetto distruttivo sulle altre lingue europee sempre più ridotte al ruolo di dialetti. E non si può non considerare l’immeritato vantaggio concesso a milioni di cittadini i quali, ricevendo uno status di privilegio per nascita, umilierebbero ogni altro popolo e porrebbero fin dalla nascita gli altri cittadini in stato di vassallaggio.
Una lingua nazionale è connaturata con il carattere, la storia e le tradizioni di un popolo. Essa tende, insieme al popolo, a evolversi in forma autonoma e, quindi, a trasformarsi; risulta pertanto impensabile condizionarne l’evoluzione per assicurare quella regolarità guidata nel tempo e nello spazio che è essenziale per essere effettivamente internazionale. Occorre domandarsi se questa è l’unica strada possibile o se ci sono altre soluzioni, forse migliori. C’è chi propone l’adozione, per la funzione di lingua ausiliaria internazionale, di una lingua classica «morta», ma com’è possibile adattarla alle esigenze espressive moderne senza snaturarne la struttura? Senza contare le difficoltà di apprendimento e di insegnamento che tali lingue, che comunque una volta erano anch’esse etniche ed espressione di un imperialismo politico-culturale, comporterebbero specie se riferite a un quadro europeo. Mentre è vero che non ci si può rassegnare a un ingiusto ruolo di inferiorità e che non possiamo impegnarci in un perdente confronto di forze, possiamo, però, prendere in considerazione e appoggiare un’alternativa semplice, non impositiva, gradualmente introducibile, consistente nell’ufficializzare l’equiparazione alle attuali lingue di lavoro di una vera lingua non etnica, transnazionale, economica e moderna, alla portata di tutti, che svolga una funzione riequilibratrice sulle lingue cosiddette «forti», restituendo alle lingue oggi diventate di «serie B» o «di serie C» la pari dignità cui hanno pieno diritto.
Così si può difendere con successo, senza levate di scudi, la lingua italiana, oltre al multilinguismo solo pubblicizzato dell’Unione europea. Solo in questo modo indiretto si può difendere il patrimonio di lingua e di pensiero dei nostri padri: informando e introducendo, dopo avere diffuso le informazioni necessarie, l’insegnamento libero di una lingua internazionale neutrale, senza contrapposizioni alla situazione presente. La funzione riequilibratrice si avvierà autonomamente quando i cittadini saranno in grado di rendersi conto che la definizione di «lingua internazionale» è oggi data erroneamente a lingue etniche nazionali impiegate in campo sopranazionale. Infatti, se il principio del plurilinguismo è garanzia della salvaguardia delle diversità culturali, affinché sia concreto esso ha bisogno di appoggiarsi su una lingua comune basata sulla reciprocità. Ovviamente, la lingua internazionale deve essere, oltre che neutrale, anche razionale, cioè moderna, con difficoltà di apprendimento ridotte perché priva delle specificità di ogni lingua etnica. Un’assenza di specificità che faciliterebbe l’apprendimento anche da parte di un pubblico di non alta scolarizzazione o di età più avanzata, in entrambi i casi comunque pienamente titolare del diritto di cittadinanza europea anche se non globale. Una lingua le cui caratteristiche si adattino al meglio ai moderni mezzi multimediali di studio, permettendo così la sua rapida diffusione e che, principalmente, non sia distruttiva (glottofagica) del patrimonio linguistico esistente. Una tale lingua, collaudata da ormai centoventicinque anni di uso in tutto il mondo c’è, una lingua della razza umana, la lingua internazionale denominata esperanto.
L’esperanto è una lingua ausiliare non colonizzante perché, richiedendo un modesto tempo di apprendimento, non stimola quell’inconscia necessità di essere usata quando non serve, cioè fuori dai rapporti internazionali. L’esperanto è l’unico idioma, tra le centinaia di progetti e di tentativi di lingua internazionale, che sia diventato lingua viva, parlata da persone viventi in tutti i continenti, il che ha contribuito a creare anche una sua letteratura autonoma. L’esperanto è l’unico progetto che abbia superato le difficoltà determinate da due guerre e da periodi di regimi nazionalistici o totalitari che hanno cercato di soffocarlo.
Il vantaggio dell’esperanto risiede principalmente nel fatto che rispetta il discente maggiormente di qualsiasi altra lingua, perché anziché riempirlo di difficoltà, umiliandolo, l’esperanto si adatta all’istinto naturale dell’uomo che generalizza le regole e le strutture grammaticali. In questo modo, dopo il periodo iniziale, si entra in confidenza con la lingua sentendosi ben presto a proprio agio.
L’esperanto è una lingua scritta con l’alfabeto latino, con struttura flessivo-agglutinante, a fonetica univoca, con sole sedici regole grammaticali fondamentali, prive di eccezioni. Il lessico è formato da radici scelte tra quelle ricorrenti con maggiore frequenza nelle lingue classiche e moderne, delle quali costituisce così una felice sintesi. L’uso di prefissi e di suffissi, con significato determinante e costante, consente la facile formazione di un’ampia gamma di parole derivate, atte a esprimere ogni sfumatura del pensiero, con perfetta adesione al concetto da manifestare e con sforzo mnemonico ridotto. Una dichiarazione di ventisette membri dell’Accademia francese delle scienze definì l’esperanto un capolavoro di logica e di semplicità. Queste caratteristiche, oltre alla neutralità, sono infatti essenziali affinché una lingua possa dirsi atta al ruolo di lingua transnazionale.
L’esperanto si può efficacemente imparare sulla rete internet, tramite i computer, oltre a essere facilmente accessibile per la sua struttura ai popoli di qualsiasi gruppo linguistico e agli individui di ogni grado culturale. Non ci sono insegnanti che per formarsi devono andare in altri Paesi. È importante notare che esso manifesta una notevole efficacia propedeutica per l’apprendimento di altre discipline e, particolarmente, delle lingue straniere, per via della sua struttura grammaticale e della sua logicità.
Nonostante le riserve, i pregiudizi, la disattenzione e, peggio, la disinformazione non sempre serena, che ne frenano l’espansione, l’esperanto può già contare su innumerevoli gruppi e centri didattici sparsi in ogni parte del pianeta, su una fiorente produzione letteraria e scientifica (40.000 titoli solo alla Biblioteca nazionale britannica e, per l’Italia, oltre 6.000 titoli presso l’Archivio di Stato, nel Castello Malaspina di Massa Carrara). In diverse università, come quelle di Berlino e di Paderborn in Germania, di Budapest in Ungheria e di Torino, nonché all’Accademia internazionale delle scienze, con sede nella Repubblica di San Marino, l’esperantologia è una materia curricolare e la lingua è impiegata per lezioni, esami, tesi di laurea e documentazione d’archivio e di segreteria.
La proposta di una lingua internazionale ausiliaria veicolare e non etnica trova le sue ragioni nel garantire, nello stesso tempo, il rispetto della pluralità delle lingue, anche quelle economicamente più deboli, e il rispetto dei diritti di ciascuno a comunicare potenzialmente con tutti.
Valutando queste considerazioni, chiediamo di istituire l’insegnamento dell’esperanto e il suo utilizzo in parallelo alle attuali lingue usate nella segnaletica stradale e turistica e nei documenti internazionali, quali passaporti, patenti eccetera. Ciò perché, con questo mezzo, possiamo costituire un baluardo naturale per la sopravvivenza e per la difesa della parità linguistica e culturale di tutti a cominciare da quella italiana.
Con la presente proposta di legge, com’è evidente dal testo proposto, l’insegnamento e l’uso dell’esperanto non vengono a sostituire quelli delle lingue straniere, ma si affiancano agli insegnamenti linguistici già ammessi nella scuola, come già avviene, ad esempio, in Ungheria dal 1995.
Ciò che appare utopistico oggi potrebbe rivelarsi ragionevole e perfino necessario per le prossime generazioni, al fine di una valorizzazione della dottrina transculturale dei diritti umani, mediante l’utilizzo dell’esperanto quale lingua democratica che afferma valori di pace, democrazia e progresso e difesa dell’ecosistema linguistico-culturale.
PROPOSTA DI LEGGE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1.
1. La lingua italiana è un elemento fondante della personalità e del patrimonio della Repubblica.
2. La Repubblica si impegna a tutelare il diritto dei cittadini italiani all’istruzione e alla comprensione in lingua italiana e all’utilizzo della lingua italiana in ogni ambito della vita politica, sociale e culturale della Repubblica. La Repubblica si impegna, altresì, promuovere l’organizzazione e la riorganizzazione di istituti, università, enti dell’eccellenza italiana nel campo scientifico, artistico, artigianale e culinario in poli del bello quali centri di attrazione mondiale.
3. La Repubblica, inoltre, si impegna all’attuazione di politiche di protezione della lingua italiana e delle minoranze linguistiche, per la difesa della diversità linguistico-culturale e delle pari opportunità, nonché per l’affermazione di valori di pace, democrazia, progresso e difesa dell’ecosistema linguistico-culturale, anche in sede europea e transnazionale, attraverso la promozione e l’insegnamento di una lingua non etnica, transnazionale, ispirata all’equità nelle comunicazioni, individuata nella lingua internazionale denominata esperanto.
Art. 2.
1. La lingua italiana rappresenta un importante strumento di comunicazione e un legame privilegiato con le comunità italiane residenti all’estero e con le personalità straniere che si sentono parte della comunità che utilizza la lingua italiana.
2. La Repubblica si impegna a finanziare scuole, istituti e associazioni che promuovono la diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero, in un’ottica di internazionalizzazione della lingua. La Repubblica si impegna, altresì, a sostenere i mezzi per la diffusione di informazioni sulla realtà politica, storica, economica e sociale dell’Italia. Tali funzioni sono coordinate dalla Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero istituita presso il Ministero degli affari esteri ai sensi della legge 22 dicembre 1990, n. 401.
3. La Repubblica, ai fini dell’affermazione di valori di pace, democrazia, progresso e difesa dell’ecosistema linguistico-culturale, si impegna a favorire e a finanziare scuole, istituti e associazioni che promuovono la diffusione e l’utilizzo dell’esperanto.
Art. 3.
1. Le disposizioni della presente legge si applicano senza pregiudizio per la legislazione e la regolamentazione della Repubblica e per gli accordi internazionali ratificati dalla Repubblica che riguardano la tutela delle minoranze linguistiche storiche presenti nel territorio italiano.
Capo II
INFORMAZIONE PUBBLICA
Art. 4.
1. L’utilizzo della lingua italiana è obbligatorio nell’indicazione, nell’offerta, nella presentazione, nelle modalità di impiego e nella descrizione della durata e delle condizioni di garanzia di un bene, di un prodotto o di un servizio, nonché nell’emissione di fatture e di ricevute contabili.
2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano alla denominazione dei prodotti tipici e delle specialità a denominazione straniera conosciuta da un ampio pubblico.
Art. 5.
1. L’utilizzo della lingua italiana è obbligatorio nei messaggi pubblicitari scritti, orali, audiovisivi o elettronici, emessi dagli esercenti commerciali e dagli organismi e servizi di radiodiffusione, qualunque sia il loro modo di diffusione o di distribuzione.
2. Qualora un messaggio pubblicitario sia emesso in una lingua straniera, il messaggio deve prevedere una traduzione in lingua italiana che deve essere leggibile, udibile o intelligibile nella stessa misura prevista per la presentazione nella lingua straniera.
Art. 6.
1. Ogni insegna esposta e ogni annuncio fatto sulla via pubblica, in un luogo aperto al pubblico o in un mezzo di trasporto collettivo proveniente da o per il territorio nazionale e indirizzato all’informazione del pubblico deve prevedere una formulazione completa in lingua italiana, fatte salve eventuali deroghe disposte da norme e regolamenti speciali.
2. Se l’iscrizione redatta in violazione delle disposizioni del comma 1 è affissa da una terza persona su un bene appartenente a un ente morale di diritto pubblico, questo deve ingiungere all’utilizzatore di far cessare, a proprie spese e con effetto immediato, l’irregolarità constatata.
3. Se l’ingiunzione di cui al comma 2 non produce effetti, l’uso del bene, tenuto conto della gravità dell’infrazione, può essere ritirato nei confronti del contravventore, qualunque siano le condizioni del contratto o i termini dell’autorizzazione che gli erano stati accordati.
Art. 7.
1. Ai fini dell’accettazione delle eventuali violazioni relative a quanto disposto dagli articoli 4 e 6 o a quanto disposto
dall’articolo 5, l’autorità competente è, rispettivamente, il tribunale civile e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Capo III
STRUTTURE SANITARIE
Art. 8.
1. Nelle strutture sanitarie pubbliche o private è vietato l’utilizzo di macchinari per i quali non sono disponibili adeguati manuali d’uso o spiegazioni in lingua italiana.
2. Qualora sia previsto l’acquisto di un macchinario le cui istruzioni di impiego non siano disponibili anche in lingua italiana, l’utilizzo dello stesso è proibito fino a quando la struttura sanitaria non provvede direttamente o tramite terzi qualificati, a una traduzione integrale in lingua italiana del relativo manuale d’uso.
3. Qualora non sia possibile provvedere ai sensi del comma 2, la struttura sanitaria deve, previa richiesta motivata all’azienda sanitaria locale competente, assumere personale tecnico-medico la cui conoscenza della lingua d’uso del macchinario sia certificata. In tal caso, nessun altro operatore può adoperare tale macchinario che, in assenza del personale tecnico-medico competente nella lingua d’uso, deve essere spento e inutilizzato.
4. In caso di uso di macchinari in violazione del presente articolo che comportino anche danni alle persone, i responsabili della struttura medica sono sanzionabili penalmente per attentato alla salute pubblica e la violazione è considerata ai fini processuali come circostanza aggravante.
5. Ai fini dell’accettazione delle denunce per eventuali violazioni alle disposizioni contenute nel presente articolo l’autorità competente è la procura della Repubblica.
Capo IV
ISTRUZIONE
Art. 9.
1. Ogni persona, di qualsiasi livello di istruzione, ha diritto a sostenere gli esami, a partecipare ai concorsi e a redigere la tesi di laurea o di dottorato in lingua italiana negli istituti scolastici e universitari pubblici o privati, salvo eccezioni giustificate dalle necessità dell’insegnamento di lingue e di culture minoritarie o straniere.
2. Ogni disposizione interna degli istituti scolastici e universitari che non prevede la possibilità di utilizzo della lingua italiana nei casi di cui al comma 1 è nulla.
3. Le scuole straniere o destinate ad accogliere allievi di nazionalità straniera, e gli istituti che dispensano un insegnamento a carattere sottoposto o basato su un accordo bilaterale internazionale non sono soggette all’obbligo di cui al comma 1.
4. La Repubblica provvede affinché per ogni insegnamento, di qualsiasi livello, impartito in lingua straniera, sia previsto un corso equivalente impartito in lingua italiana dallo stesso o da un altro istituto, salvo eccezioni giustificate dalle necessità dell’insegnamento di lingue e di culture minoritarie o straniere.
Art. 10.
1. Per le pubblicazioni, le riviste e le comunicazioni diffuse in Italia provenienti da un ente morale di diritto pubblico, da una persona privata esercitante un incarico di servizio pubblico o da una persona privata beneficiaria di una sovvenzione pubblica, se redatte in lingua straniera, è prevista una traduzione in lingua italiana.
2. Al fine di cui al comma 1 la Repubblica provvede alla costituzione di una banca dati bibliometrica nazionale in lingua italiana.
Art. 11.
1. Ogni soggetto che partecipa a una manifestazione, a una conferenza o a un congresso organizzato in Italia da persone fisiche o da enti di nazionalità italiana ha il diritto di esprimersi in lingua italiana
2. I documenti distribuiti ai soggetti di cui al comma 1 prima o durante la manifestazione, la conferenza o il congresso ovvero per presentarne il programma devono essere redatti in lingua italiana e possono includere traduzioni in lingue straniere.
3. Quando una manifestazione, una conferenza o un congresso dà luogo alla distribuzione ai soggetti partecipanti di documenti preparatori o di documenti di lavoro, ovvero alla pubblicazione di atti o di resoconti di lavoro, i testi e gli interventi presentati in lingua straniera devono essere accompagnati almeno da un riassunto in lingua italiana.
4. Le disposizioni dei commi 1, 2, e 3 non si applicano alle manifestazioni, alle conferenze e ai congressi che riguardano solo cittadini stranieri, nonché alle manifestazioni, alle conferenze e ai congressi di promozione di commercio estero dell’Italia.
5. Quando un ente morale di diritto pubblico o un ente morale di diritto privato è incaricato di svolgere un compito di servizio pubblico durante lo svolgimento delle manifestazioni di cui al presente articolo, deve essere installato un dispositivo di interpretazione.
Art. 12.
1. Ai fini dell’accettazione delle denunce per eventuali violazioni alle disposizioni degli articoli 9, 10 e 11 l’autorità competente è il tribunale civile.
Art. 13.
1. All’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, le parole: «introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione europea» sono sostituite dalle seguenti: «introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione europea e dell’esperanto, secondo gli obiettivi generali e specifici di apprendimento e gli orari stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con le modalità previste per la seconda lingua straniera».
2. L’insegnamento dell’esperanto è istituito nelle scuole e negli istituti appartenenti al sistema dei licei e al sistema dell’istruzione e della formazione professionale, il cui piano di studi prevede l’insegnamento di almeno due lingue straniere.
3. L’insegnamento di cui al comma 2 è istituito secondo gli obiettivi nazionali generali e specifici di apprendimento e gli orari stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con le modalità previste per la seconda lingua straniera.
Art. 14.
1. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, eventualmente avvalendosi di associazioni e di organizzazioni competenti, cura l’informazione e la sensibilizzazione sulle motivazioni a favore della scelta dell’esperanto e promuove intese di collaborazione internazionale ai fini della diffusione educativa dell’insegnamento della medesima lingua, in particolare nei Paesi membri dell’Unione europea.
Art. 15.
1. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono stabiliti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i titoli validi per l’ammissione ai corsi di abilitazione previsti per l’insegnamento della lingua e della letteratura esperanto e le relative classi di concorso.
2. Nell’ambito dell’autonomia didattica degli atenei, disciplinata dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, le singole università possono includere negli ordinamenti dei loro corsi di studio l’insegnamento delle lingue internazionali ausiliarie e, in particolare, dell’esperanto, tra le attività formative affini o integrative a quelle di base di cui al comma 5 dell’articolo 10 del citato regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 270 del 2004 nell’ambito di tutte le classi di laurea e di laurea magistrale.
3. Previa costituzione di un apposito settore scientifico-disciplinare da inserire nell’elenco di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 4 ottobre 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 249 del 24 ottobre 2000, l’insegnamento delle lingue di cui al comma 2 del presente articolo e, in particolare, dell’esperanto, può essere incluso anche tra gli obiettivi e le attività formative qualificanti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270.
4. Nelle more dell’attuazione delle disposizioni del presente articolo, per fare fronte all’esigenza dell’insegnamento dell’esperanto, tale insegnamento può essere affidato a docenti di ruolo in possesso di un apposito attestato di formazione rilasciato da associazioni od organizzazioni competenti ovvero, temporaneamente, a personale docente esterno:
a) in possesso di diploma di laurea, preferibilmente in lingue, e dell’attestato di formazione di cui all’alinea;
b) cultore dell’esperanto.
Art. 16.
1. All’onere derivante dall’attuazione del presente capo, valutato in 5 milioni di euro per l’anno 2013, in 5 milioni di euro per l’anno 2014, in 10 milioni di euro per l’anno 2015, in 15 milioni di euro per l’anno 2016 e in 15 milioni di euro per l’anno 2017, si provvede mediante incremento, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle aliquote di base dell’accisa sui tabacchi lavorati previste dall’allegato I annesso al testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, al fine di assicurare maggiori entrate in misura corrispondente agli oneri indicati per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Capo V
CONTRATTI DI LAVORO
Art. 17.
1. Qualunque siano l’oggetto e le forme, i contratti di lavoro devono essere redatti in lingua italiana.
2. Quando l’occupazione oggetto del contratto di lavoro e le espressioni in esso contenute possono essere indicate solamente con un termine straniero senza corrispondente in lingua italiana, il contratto di lavoro deve comportare una spiegazione in lingua italiana del termine straniero.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano alle prestazioni da eseguire nel territorio italiano, qualunque sia la nazionalità dell’autore dell’offerta o del datore di lavoro, e alle prestazioni da eseguire fuori del territorio italiano quando l’autore dell’offerta o il datore di lavoro è di nazionalità italiana, anche quando l’accertata conoscenza di una lingua straniera o dell’esperanto risulta una delle condizioni richieste per ottenere l’impiego proposto.
4. I contratti di lavoro di cui al presente articolo conclusi con uno o più contraenti stranieri possono comportare, oltre alla redazione obbligatoria in lingua italiana, una o più versioni in lingua straniera o in esperanto.
5. Il contraente di un contratto di lavoro concluso in violazione del comma 1 non può avvalersi di nessuna disposizione in una lingua straniera che possa portare detrimento alla parte alla quale questa è opposta.
Art. 18.
1. Quando il lavoratore è straniero e il contratto di lavoro ha forma scritta, una traduzione del contratto viene redatta, su richiesta del lavoratore, nella lingua richiesta da questo ultimo o in esperanto, ed entrambi i testi contrattuali hanno pieno valore.
2. In caso di discordanza tra i due testi, solo il testo redatto nella lingua scelta dal lavoratore straniero può essere invocato contro questo ultimo.
3. Il datore di lavoro non potrà rivalersi sul lavoratore, qualora questo non rispetti le clausole di un contratto di lavoro concluso in violazione del presente articolo.
4. Il lavoratore, individualmente o tramite le rappresentanze sindacali o le organizzazioni sindacali di categoria, potrà denunciare il datore di lavoro richiedendo l’adeguamento del contratto alle presenti disposizioni.
Art. 19.
1. Il regolamento interno dei luoghi di lavoro è redatto in lingua italiana, ma può essere accompagnato da traduzioni in esperanto o in una o più lingue straniere.
2. Ogni documento comportante degli obblighi per i lavoratori o delle disposizioni la cui conoscenza è necessaria a questi per l’esecuzione del proprio lavoro, o per la propria o altrui sicurezza deve essere redatto in italiano, ma può essere accompagnato da traduzioni in esperanto o in una o più lingue straniere.
3. Queste disposizioni non sono applicabili, ad eccezione delle disposizioni relative
alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, né ai documenti destinati a stranieri, né ai documenti ricevuti da stranieri destinati ai lavoratori la cui comprovata conoscenza della lingua straniera utilizzata è necessaria alle attività dell’impresa, ma tale circostanza deve essere esplicitamente indicata per iscritto nel contratto del lavoratore o nella sua mansione.
4. Le convenzioni e gli accordi collettivi di lavoro e le convenzioni d’impresa o d’istituzione devono essere redatte in lingua italiana, fatto salvo quanto indicato negli articoli 17 e 18.
5. Nessuna disposizione redatta in lingua straniera può essere opposta al lavoratore italiano inadempiente.
Art. 20.
1. La formazione professionale, ivi incluse le eventuali prove di verifica, se finanziata da fondi di categoria o anche solo parzialmente da soldi pubblici deve essere tenuta in lingua italiana.
2. Il materiale didattico usato al fine della formazione di cui al comma 1 deve essere redatto o tradotto in lingua italiana.
3. Il presente articolo non si applica nel caso di formazione a scopo di apprendimento di una lingua straniera o negli ambiti relativi alle minoranze linguistiche.
Art. 21.
1. Nelle imprese in cui l’organico è superiore a cinquecento dipendenti, il datore di lavoro sottopone con notifica annualmente al comitato d’azienda, alle rappresentanze sindacali o, ove assenti, alle organizzazioni sindacali di categoria, un rapporto scritto sull’utilizzo della lingua italiana e le politiche linguistiche in uso all’interno dell’impresa.
2. Il rapporto dà conto del modo in cui l’impresa assolve gli obblighi, inclusi quelli indicati negli articoli 17, 18, 19 e 20 della presente legge.
3. Se dopo quindici mesi dalla presentazione del precedente rapporto l’impresa non ha ancora provveduto alla presentazione di quello nuovo, i singoli lavoratori, i loro rappresentanti o le organizzazioni sindacali di categoria, possono richiedere all’azienda immediata presentazione del rapporto. Se dopo altri tre mesi l’azienda non ha provveduto a tale obbligo, tale omissione è a tutti gli effetti sanzionabile, su istanza a tribunale competente da parte del singolo lavoratore, delle rappresentanze sindacali o delle organizzazioni sindacali di categoria, secondo quanto previsto dall’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
4. Nelle imprese in cui l’organico è inferiore a cinquecento dipendenti, la presentazione del rapporto sull’utilizzo della lingua italiana avviene in modo obbligatorio su richiesta dei rappresentanti sindacali o delle organizzazioni sindacali di categoria, del comitato d’azienda o, in mancanza, dei delegati del personale. Se entro sei mesi dalla richiesta da parte delle rappresentanze sindacali, la direzione aziendale non ha provveduto a presentare il suddetto rapporto tale omissione è a tutti gli effetti sanzionabile previa istanza al tribunale competente da parte del singolo lavoratore, delle rappresentanze sindacali o delle organizzazioni sindacali di categoria, secondo quanto previsto dall’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
5. Il comma 4 non si applica se nel corso dell’anno nell’azienda sono state aperte procedure di ristrutturazione, di mobilità (escluse quelle di mobilità volontaria) o di cassa integrazione.
Capo VI
OPERE CINEMATOGRAFICHE E AUDIOVISIVE
Art. 22.
1. Le opere cinematografiche e audiovisive in lingua straniera devono essere accompagnate da doppiaggio o sottotitoli in lingua italiana se distribuite da un privato che non beneficia ad alcun titolo di fondi pubblici, dal solo doppiaggio in caso contrario.
2. Il comma 1 non si applica alle opere musicali il cui testo è, completamente o in parte, redatto in lingua straniera.
3. L’obbligo di cui al comma 1 non si applica alle attività didattiche la cui finalità è l’apprendimento di una lingua, né alle trasmissioni, programmi, o messaggi informativi o pubblicitari nelle lingue minoritarie riconosciute, né alle trasmissioni di cerimonie culturali o religiose.
4. Salvo ulteriori disposizioni emanate nelle circolari attuative, l’autorità competente ad accogliere denunce da parte dei cittadini per eventuali violazioni alle precedenti disposizioni è l’Autorità garante delle comunicazioni.
5. Tale Autorità, riscontrata la violazione della presente legge, intima al distributore del prodotto audiovisivo, della comunicazione o del messaggio pubblicitario o informativo di adeguarsi immediatamente a quanto prescritto. Ove ciò non avvenga, l’Autorità può irrogare le sanzioni previste dalle circolari attuative.
Capo VII
MARCHI E DENOMINAZIONI SOCIALI
Art. 23.
1. L’impiego di un marchio di fabbrica, di commercio o di servizio costituito da un’espressione o un termine straniero è proibito agli enti morali di diritto pubblico qualora esista un’espressione o un termine in lingua italiana dello stesso significato.
2. In caso contrario, il marchio deve riportare una traduzione quanto più vicina al significato originale, da usarsi per fini legali.
3. Questo divieto si applica altresì a enti morali di diritto privato incaricati di svolgere funzioni di servizio pubblico.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai marchi utilizzati per la prima volta prima della data di entrata in vigore della presente legge.
5. Salvo ulteriori disposizioni emanate nelle circolari attuative, l’autorità competente ad accogliere istanze da parte dei cittadini per eventuali violazioni delle precedenti disposizioni è il tribunale civile.
Art. 24.
1. L’utilizzo di vocaboli o di espressioni non appartenenti alla lingua italiana per descrivere la natura dell’attività di una società o di un istituto, o utilizzati nella formulazione di una denominazione sociale iscritta o registrata, devono essere accompagnati da una traduzione o da una spiegazione in lingua italiana.
2. Ai fini legali, la sola versione linguistica a fare fede sarà quella in lingua italiana.
3. Gli strumenti brevettuali utilizzabili sul territorio nazionale devono obbligatoriamente essere redatti anche in lingua italiana, pena la loro invalidità e inutilizzabilità.
Capo VIII
ALTRE DISPOSIZIONI
Art. 25.
1. La concessione, da parte delle collettività e degli istituti pubblici, di sovvenzioni di ogni natura è subordinata al rispetto dei beneficiari delle disposizioni della presente legge.
2. Ogni violazione del comma 1, dopo che l’interessato è stato messo in grado di presentare le proprie osservazioni, può comportare la restituzione totale o parziale della sovvenzione.
3. Salvo ulteriori disposizioni emanate nelle circolari attuative, l’autorità competente ad accogliere ricorsi per eventuali violazioni alle precedenti disposizioni è il tribunale amministrativo regionale.
Art. 26.
1. È istituita la figura dell’agente preposto alla ricerca e all’accertamento delle infrazioni alle disposizioni della presente legge.
2. Gli agenti possono penetrare di giorno nei luoghi e nei veicoli come previsto dalle leggi vigenti.
3. Gli agenti possono richiedere di consultare i documenti necessari all’adempimento del loro incarico, prenderne copia e raccogliere dopo convocazione o sul posto le informazioni e giustificazioni atte all’adempimento del loro incarico.
4. Gli agenti possono prelevare un esemplare del bene o prodotto posto sotto accertamento secondo le disposizioni vigenti.
5. Chiunque ostacoli in modo diretto o indiretto l’adempimento degli incarichi degli agenti o non metta a loro disposizione, ove richiesto, tutti i mezzi necessari a questo fine è passibile di pena.
6. Le violazioni delle disposizioni della presente legge sono accertate con verbale che fa fede fino a prova contraria.
Art. 27.
1. Ogni associazione o persona giuridica che si propone per statuto la difesa della lingua italiana e che rientra nelle condizioni stabilite dalla legge può esercitare i diritti riconosciuti alla parte civile.
Art. 28.
1. La presente legge si applica ai contratti conclusi successivamente alla data della sua entrata in vigore.
Art. 29.
1. Ogni anno, il Governo invia al Parlamento, prima del 15 settembre, un Rapporto sull’applicazione della presente legge.
2. Il Rapporto deve specificare in modo dettagliato l’uso della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, così come lo stato del multilinguismo e dell’esperanto nei sistemi educativi e formativi pubblici e privati.
3. Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di apportare il proprio contributo al suddetto Rapporto.
4. Il Rapporto documenta in un apposito capitolo le trasgressioni delle disposizioni della presente legge.
5. Il relatore del Rapporto, individuato nel Ministro per i rapporti con il Parlamento, precisa la natura e gli esiti dei procedimenti conclusi nell’anno precedente, precisando i casi in cui siano state riconosciute le ragioni dei soggetti costituitisi parte civile.
Art. 30.
1. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i termini e le modalità di applicazione della presente legge.
2. Il Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con gli altri Ministri competenti, è autorizzato ad emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, circolari attuative ed esplicative della legge medesima, con particolare riguardo ai tempi necessari per l’adeguamento e alle sanzioni.
3. Gli introiti derivanti dalle sanzioni imposte sono destinati alla promozione delle attività di cui all’articolo 2.
Disposizioni per la valorizzazione e l’internazionalizzazione della lingua italiana