[fimg=left]http://www.democrazialinguistica.it/4/conta_euro.jpg[/fimg]ASPETTTI ECONOMICI DELLA DISUGUAGLIANZA LINGUISTICA.
Un importante saggio di Aron Lukàcs, Gergely Kovacs College for Modern Business Studies, Tatabànya
QUI l’intero saggio.
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Le attività degli Stati Membri e dell’Unione Europea sono “condotte in accordo con il principio di un mercato economico aperto con libera competizione” (Articolo 4 della Costituzione della Comunità Europea).
Questo principio fondamentale dell’Unione Europea è però assolutamente disatteso in campo linguistico.
Nella fattispecie l’attuale utilizzazione di una sola lingua nell’Unione Europea altera seriamente il mercato e impedisce fortemente la libera competizione. A breve termine questa situazione avvantaggia i cittadini e le società di alcuni stati, ma mette in difficoltà i cittadini e le società di molti Stati Membri dell’UE. A lungo andare sarà un ostacolo anche per un più efficace sviluppo economico dell’intera UE.
L’apprendimento di lingue nell’UE costa circa 60 miliardi di euro ogni anno. Questo non include il costo del viaggio e della permanenza in altre nazioni con l’intento di apprendere una lingua. Solo per le persone che si sono recate in Gran Bretagna questa somma equivale a 13 miliardi l’anno. D’altronde se consideriamo anche quanto tempo viene impiegato nell’apprendimento di una lingua e lo monetizziamo (sulle basi del costo medio del lavoro nell’UE) si ricava un ammontare annuo di circa 210 miliardi di euro.
Il costo di traduzioni ed interpretazioni è minore, ma non trascurabile: circa 6 miliardi annui. Comunque ci sono fattori molto più rilevanti, ma sono molto più difficili da quantificare. Questi includono fattori come la perdita di informazioni a causa di problemi linguistici e lo svantaggio di alcuni partecipanti nell’economia internazionale e in altre cooperazioni. Secondo una stima approssimativa il costo di questi fattori dovrebbe ammontare nell’UE ad almeno 70 miliardi di euro annui.
In questo modo giungiamo ad una somma totale di circa 350 miliardi di euro annui, che equivale a più del 3 % del PIL dell’Unione Europea (nel 2006).
Non di meno, il più grande problema è probabilmente non nell’ammontare, ma nella distribuzione di questa somma. È principalmente la Gran Bretagna che raccoglie i profitti di questa situazione, e la gran parte delle altre nazioni sta perdendo il proprio denaro. Secondo le mie stime i cittadini degli Stati Membri non anglofoni dell’Unione Europea stanno pagando circa 900 euro pro capite l’anno alla Gran Bretagna in questo modo occulto.
Man mano che questo processo va avanti, la somma si accumula. Supponendo un periodo di 20 anni ed un tasso di interesse del 10%, questa arriverebbe ad ammontare a circa 55.000 euro per persona.