Non solo investimenti
L’espansione in Africa
Cresce il soft power di Pechino: in Kenya s’insegnerà il mandarino
Insegnamento del mandarino fin nella scuola elementare: partirà l’anno prossimo in Kenya, il Paese africano dove fu istituito il primo Istituto Confucio del continente e dove l’anno scorso è stata aperta la linea ferroviaria tra la capitale Nairobi e il porto di Mombasa, su progetti e finanziamenti cinesi da 3,2 miliardi di dollari.
Lo sbarco della lingua forse più difficile del mondo trai banchi di scuola di ragazzi kenyoti a partire dai 10 anni -e in scuole superiori, come lingua straniera materia di esame al pari di francese, tedesco e arabo – rappresenta un simbolo della crescita del “soft power” di Pechino in Africa, dove gli Istituti Confucio sono ormai più di una cinquantina e altre aperture vengono sollecitate – con la lusinga di finanziamenti – presso numerose università e centri culturali.
La Cina, insomma, non intende essere solo il principale investitore in Africa: al primato nei grandi investimenti in infrastrutture – non di rado criticati per il conseguente peso del debito che finisce per gravare su nazioni ancora fragili e in via di sviluppo – intende affiancare una espansione della sua influenza culturale. All’ultimo Focac (Forum on China-Africa Cooperation) a Pechino, alla fine della scorsa estate, il presidente Xi Jinping ha promesso di «onorare pienamente» tutte le promesse fatte ai Paesi africani, compresa quella di aumentare le opportunità di formazione per i giovani. Una strategia articolata sia attraverso borse di studio (la Cina è già diventata la seconda destinazione più popolare per gli studenti africani, dopo la Francia) sia nella promozione della cultura cinese in senso ampio nelle nazioni di origine.
Di recente anche in Uganda sono emersi piani per introdurre nelle scuole superiori – ovviamente, solo in una parte di esse in una fase iniziale – l’insegnamento del mandarino, già diventato oggetto di un corso universitario triennale dall’anno scorso. Ma è in Kenya che le autorità hanno espresso con più chiarezza il loro orientamento verso una offerta curricolare del mandarino nel quadro di una riforma scolastica finalizzata anche a calibrare l’educazione in funzione di una formazione dei giovani consona alle prospettive di ingresso nel mondo del lavoro.
Secondo Julius Kwan, chief executive del Kenya Institute of Curriculum Development (Kicd), «la posizione che la Cina ha raggiunto nell’economia mondiale è diventata talmente forte che il Kenya trarrà beneficio dal fatto che i suoi cittadini possano comprendere il mandarino». Non si tratta solo di trovare impiego presso le aziende cinesi attive nel Paese, ha aggiunto, ma anche di predisporre le basi per un boom del turismo cinese in ingresso. Senza contare che gli studenti kenyoti in Cina – stimati in circa 2.400 – possono sviluppare contatti in loco potenzialmente utili una volta che siano tornati in patria. In Africa la Cina sta diventando anche una potenza culturale, attraverso una diplomazia pubblica che non è a corto di idee e di finanziamenti
Stefano Carrer | Il Sole 24 Ore | 10.1.2019