“Il Libro del Giorno” – La Parola fa Eguali. Di Don Lorenzo Milani

La Parola fa Eguali

Il volume raccoglie gran parte degli interventi inediti di don Milani sul suo modo di intendere la scuola che, ancora attuale, ci riporta alla memoria le questioni cruciali sul significato e sul ruolo della scuola. La raccolta comprende la trascrizione di un intervento registrato in una conferenza organizzata da Fioretta Mazzei, assessore dell’ultima giunta La Pira nel 1962, oltre a una ricca appendice fotografica di Barbiana.

Nel pensiero di don Lorenzo la scuola è in grado di dare ai poveri dignità e renderli protagonisti, farli crescere, renderli liberi e consapevoli. Una scuola che sa prendere posizione, che ha in onore la politica, il sindacato, come due strumenti moderni capaci di difendere le ragioni degli ultimi e di raddrizzare un mondo ingiusto. Una scuola che sa affrontare i problemi storici economici e sociali, vale a dire i problemi della vita, del lavoro di milioni di uomini. Una scuola non selettiva, ma esigente, impegnata, severa, non permissiva, con una forte carica culturale. Una scuola che educhi all’impegno politico e sociale, ma non subalterna agli interessi di nessuno se non alla ricerca comune della verità. Una scuola moderna, che guarda avanti, che scruta i segni dei tempi ed interroga il passato solo quel tanto che consente di affrontare il presente ed anticipare il futuro. Una scuola fatta in parrocchia ma non confessionale, dove la fede diventa amore e spinge il prete a fare il maestro. Prete maestro ed educatore che sa arrivare al cuore del suo popolo. Sono questi alcuni argomenti che don Lorenzo tratta negli scritti che pubblichiamo e che testimoniano un messaggio sociale ancora oggi molto forte e che hanno mantenuto nel tempo tutta la loro freschezza e capacità innovativa.

DAL TESTO:

Se mi domandate perché faccio scuola,rispondo che faccio scuola perché voglio bene a questi ragazzi. Come voi mandate a scuola i vostri figlioli, così io ci tengo che i miei figlioli abbiano scuola; questa è una cosa affettiva, naturalissima. Mi pare che non ci sia neanche da perdersi a spiegarla.

Dal punto di vista proprio di parroco, ho l’incarico di predicare il vangelo. Predicarlo in greco non si può perché non intendono. Sicché, bisogna predicarlo in italiano. Resta da dimostrare che i miei parrocchiani intendono l’italiano. Questa è quella cosa che io nego. Quantunque i miei parrocchiani siano toscani, quantunque usino espressioni dantesche ogni poco, non son capaci di un discorso lungo, di un discorso complesso, di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì, o nei pettegolezzi delle famiglie.

Una lingua così povera non è assolutamente sufficiente per ricevere la predicazione evangelica. Questa è la condizione, direi di ordine pastorale, che non dovrebbe direttamente interessarvi, ma vi spiega un po’ perché mi occupo di questa cosa.

Su questa premessa, cioè considerandomi un missionario in un paese straniero di cui non conosco la lingua, io avevo ancora la possibilità di studiare la loro lingua e parlare il loro linguaggio, ma dal dimostrarvi che questo linguaggio non esisteva. Non si può parlare la loro lingua perché è una lingua di basso interesse, di bassi vocaboli. Non bassi in senso cattivo, ma non elevati. Ed io non mi ci abbasso a livello dei miei parrocchiani. Abbassarsi al loro linguaggio e non dire più cose alte, a me non va. Io seguito il mio linguaggio alto e quando o loro vengono al mio linguaggio o non ci si parla.

Ecco perché io ho iniziato il mio apostolato dalla scuola, con l’insegnare la grammatica italiana.

Alla fine è successa questa disgrazia di innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro. Ecco perché questa scuola poi è diventata una scuola, diciamo così, laica, severamente laica. Sono partito con l’idea di fare della scuola il mezzo di intendersi e di predicare, poi nel far scuola gli ho voluto bene ed ora mi sta a cuore tutto di loro, tutto quello che per loro è bene, persino l’aritmetica che a me non piace e il loro bene è fatto di tante cose: della preparazione politica, sociale, religiosa, della cura della salute. Insomma c’è di tutto. Né più né meno quello che voi fareste e fate per i vostri figli. C’era anche la possibilità, scelta da tanti miei confratelli, di carattere mistico. Si poteva anche solo pregare. Io l’escludo per un parroco, sennò avrei fatto il certosino. Io faccio il parroco, trovo l’ostacolo della lingua (per evangelizzare) e alla lingua mi dedico. Considerando lingua tutti i problemi della scuola da capo a fondo.

Don Lorenzo Milani

Don Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967) è stato un sacerdote, insegnante, scrittore ed educatore italiano. Figura controversa della Chiesa cattolica negli anni cinquanta e sessanta, discepolo di don Giulio Facibeni, viene ora considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente impegnato per il suo impegno civile nell’istruzione dei poveri, la sua difesa dell’obiezione di coscienza e per il valore pedagogico della sua esperienza di maestro.
Per i suoi scritti (ad esempio L’obbedienza non è più una virtù), e per affermazioni come «Io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi» venne incluso nel novero dei cosiddetti cattocomunisti, definizione spesso denigratoria, attribuita allora a un prete scomodo, che al contrario si era sempre opposto con i suoi scritti e con le sue parole a qualsiasi tipo di dittatura e di totalitarismo, incluso il Comunismo.
In seguito a un suo scritto in difesa dell’obiezione di coscienza (pubblicato dal settimanale Rinascita il 6 marzo 1965), dove ancora una volta si distaccava dall’insegnamento e dalla tradizione cattolica, venne processato per apologia di reato e assolto in primo grado, ma morì prima che fosse emessa la sentenza di appello. La sentenza di appello per Don Milani invece dichiarò il reato estinto per morte del reo. Oltre a Esperienze Pastorali, che fu ritirato pochi mesi dopo la pubblicazione nonostante avesse ottenuto l’imprimatur, sono memorabili nel campo dell’educazione i figli dell’esperienza di Barbiana: L’obbedienza non è più una virtù (a cura di Carlo Galeotti, contiene documenti sul processo a Don Milani, 1965) e Lettera a una professoressa (1967). Questi testi sono stati scritti collettivamente insieme a tutti i ragazzi che frequentavano la scuola.

 

 

 

 

Lascia un commento

0:00
0:00