Il lessico dei neoalleati
La fissazione del “contratto” che maschera la diffidenza
Patto, alleanza, intesa, coalizione, concordato, convenzione, transazione, trattato, concerto, pattuizione, agreement, soluzione, compromesso, accomodamento, aggiustamento, appianamento, conciliazione, sistemazione… Non c’è proprio nulla da fare. Di tutte le alternative che la lingua italiana propone per il lemma «accordo» il M5S insiste ad ammettere solo quella che, guarda caso, risulta più lontana dalla politica: «contratto». È vero che il fortunato precedente berlusconiano del «Contratto con gli Italiani» non può farla dichiarare sgradita ai contraenti del Centrodestra; è parimenti vero che per il Grande Dizionario Italiano dei Sinonimi e dei Contrari di Tullio De Mauro (grande in senso letterale: due volumi) «contratto» è il sinonimo di «accordo» che compare per primo fra tutti quelli elencati. Però, dài, «contratto»… La scelta lessicale è terribilmente in tono con quella certa atmosfera da franchising immobiliare che ha caratterizzato l’entrata in modalità-governo da parte degli esponenti principali del Movimento: quei completi blu, quelle camicie e cravatte celesti, quei sorrisetti a busto rigido dietro cui si indovinano corsi di comunicazione non verbale e sedute di autotraining di fronte allo specchio.
Per quanto un «contratto», prima o poi, vada «steso», il termine connota proprio rigidità: il nero su bianco (contro la volatilità delle dichiarazioni più solenni), l’impegno formale (contro la sparata a caso, feriale e da talk show), la professionalità esibita dell’approach e l’implicita, e vistosa, mancanza di fiducia nel rapporto. Non per nulla, un altro precedente uso politico della parola fu nella definizione di «professore a contratto» con cui da Hammamet Bettino Craxi qualificava, non certo affabilmente, Giuliano Amato.
Berlusconi firmava per impegnare sé e suscitare fiducia negli elettori. Qui va ancora chiarito se il contratto impegnerà i due leader l’uno con l’altro oppure se sarà un contratto di entrambi con la nazione. Tanta fiducia nel ritenere che l’altro sia un gentiluomo, comunque, non sembra provarla nessuno dei due.
L’altra variabile è se verrà reso pubblico l’articolato dell’atto o se, come già lo sfortunato Patto del Nazareno, rimarrà una faccenda privata fra i contraenti. Nei tempi in cui la trasparenza stessa è divenuta opaca stupirebbe sia l’una, sia l’altra soluzione. Ma intanto è certo che la parola «contratto» è in sé la più distaccata, fredda, asettica che si potesse scegliere. Però è anche l’unica in grado di promettere che la nuova relazione non intacchi le rispettive identità, di cui i contraenti sono tanto gelosi. Un accordo è già un contratto quando basta la parola per essere impegnati. Qui si stipula un contratto per non sembrare di andare d’accordo. Perché due acerrimi avversari diventino partner, occorre che due sinonimi diventino contrari.
Stefano Bartezzaghi | La Repubblica | 11.5.2018