IL COMMENTO.
di GIOVANNI NARDI.
Magari impariamo a usarlo meglio.
ANCORA una volta, uomini di cultura e bella gente riuniti in nome della lingua italiana. Per
lamentare che questa lingua – la nostra – non abbia una legge apposita, una norma costituzionale che ne sancisca l’ufficialità. Non si dice da nessuna parte, infatti, che l’italiano è la lingua “ufficiale” della nazione italiana, mentre lo si afferma per il tricolore, e mentre si tutelano le minoranze linguistiche.
Ma di una norma siffatta, c’è davvero bisogno? Non basta l’uso a stabilire la regola? L’italiano
non si è imposto con la forza delle anni di un qualche stato o staterello, ma grazie al livello
della cultura di cui era nei secoli l’espressione. Da nord a sud della penisola l’italiano era la lingua di Dante e compagnia bella, e non c’era bisogno di leggi perché gli intellettuali di ogni località si
esprimessero in italiano per farsi intendere da tutti: l’italiano cioè era la lingua franca della cultura,
e non solo nel nostro Paese, secoli prima che si realizzasse l’unione politica. Si potrebbe eccepire oggi che la nostra lingua ha bisogno di una tutela ufficiale perché minacciata, in qualche settore, dal prevalere o dall’imporsi di altri idiomi; e confessiamo che in effetti in economia, per esempio,
avremmo oggi più bisogno di lavoro che di welfare; ma nessuna lingua specialistica avrà mai il
potere di sostituirsi al linguaggio comune, che ci viene dalla nascita, dall’educazione e dalla cultura di ciascuno di noi.
MAGARI, rimanendo nella falsa endiadi di “Ufficiale e gentiluomo”, avremmo oggi semmai bisogno di meno “ufficiale” e di più “gentiluomo”, nel senso che al politichese, al burocratese e agli eccessi della terminologia giuridica preferiremmo un linguaggio comprensibile a tutti; gradiremmo
che alla televisione non prevalesse il romanesco volgare, e vorremmo infine sorridere (e basta) se a un qualunque personaggio del potere – di ieri e di oggi – sfuggisse una parola antica e desueta (come la barbaria, che comunque è a lungo esistita) rispetto a un errore di pronuncia, di grammatica o di sintassi, a cui nessuno fa più caso.
(Da La Nazione, 7/4/2014).