L’inutile corsa alle frasi fatte (quando il politico crede di dire qualcosa di nuovo)
di MATTIA FELTRI
Quel che è avvenuto mi ha fatto pensare al romanzo Il giorno della civetta, dove si dice che esistono
uomini, ominicchi e quaquaraquà», ha detto ieri Gianfranco Fini a proposito dei parlamentari che da Futuro e Libertà sono tornati nel Pdl. In realtà le categorie proposte da don Mariano nel romanzo di Leonardo Sciascia sono cinque (gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà), ma non è un gran problema: se non si è letto il libro, è facile sbagliare il rimando. Il vero problema è la citazione in sé (è stata fatta da chiunque, la banca dati dell’Ansa dice Maurizio Gasparri, Antonio Di Pietro, Marco Follini, Roberto Formigoni, Daniele Capezzone e molti, molti altri: inflazionatissima).
A seguire, proponiamo un manuale di citazioni da evitare, perché sentite e risentite.
«La situazione (…) è grave ma non è seria». E’ di Ennio Flaiano. Si trova in decine di versioni («drammatica ma non seria») e rivisitazioni («è grave e seria» o «grave, seria e importante»,
come disse Marcello Pera). In generale, Flaiano è così bravo ma anche così sfruttato che sarebbe meglio dimenticarlo per un po’. Avere poche idee ma confuse, correre in soccorso del vincitore, l’insuccesso che ha dato alla testa, sono motteggi alla soglia del soporifero.
«Se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui». Un’altra delle citazioni preferite di Fini: negli ultimi cinque anni l’ha proposta almeno una volta all’anno. E’ di Ezra Pound.
«Che cos’è svaligiare una banca rispetto al fondarne una?». Questa frase, pronunciata da un personaggio di Bertolt Brecht, è stata riproposta in mille storpiature e addirittura promossa a profezia. I politici di sinistra la adorano. Ultimamente l’ha usata anche Giulio Tremonti. «La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è una statistica».
Attribuita a Stalin, ma non è sicuro che l’abbia mai detta. Di certo è in un libro .di Eric Maria Remarque, L’obelisco nero. Qualcuno gli attribuisce anche quella di Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». Già sentita da Fausto Bertinotti, Massimo D’Alema e pure Roberto Calderoli.
«Governare gli italiani non è difficile, è inutile». Secondo qualcuno è di Benito Mussolini, secondo altri di Giovanni Giolitti. Chi scrive l’ha sentita per la prima volta dalla bocca di Giovanni Spadolini nel 1982 e ancora la sente.
«La rivoluzione non è un pranzo di gala». E’ una frase di Mao Zedong che Sergio Leone inserì all’inizio di Giù la testa. Da allora, successo eterno. «Calunniate, calunniate, qualcosa resterà». Questa è adorata da Silvio Berlusconi e di conseguenza fa parte dei bagaglio culturale di mezzo Pdl.
Fortunatamente è in forte calo l’altra universale massima voltairriana: «Non condivido la tua idea ma darei la vita perché tu possa esprimerla». «La legge è uguale per tutti ma per qualcuno è più uguale». Questa, contenuta nella Fattoria degli animali di George Orwell, gode ancora di grandissima diffusione. Nell’ultimo anno se la sono giocata Rosy Bindi, Felice Belisario, Osvaldo Napoli e Angelino Alfano.
«Non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi ma cosa voi potete fare per il vostro Paese». Edi J.F. Kennedy. L’ha riproposta chiunque, Pier Ferdinando Casini, Marcello Pera, Rosa Russo Juervolino, Gabriele Albertini.
L’ultimo è stato il solito Fini, che però ha sostituito "Paese" con "Stato".
«Tutto è inutile, il vuoto sarebbe bastato». E’ un aforisma del filosofo Emil Cioran. Spesso calzerebbe a meraviglia, ma purtroppo non la conosce nessun comiziante.
(Da La Stampa, 7/3/2011).