A fil di rete
Cicerone e l’abuso delle nomination
di Aldo Grasso
L’infornata di reality, dal «Grande Fratello» a «X Factor», da «Amici» a «La fattoria» (in corsa per la nomination di peggior programma della stagione), ha definitivamente introdotto nel linguaggio televisivo un nuovo stilema, una particolare costruzione che funziona ormai come convenzione per definire il genere. In passato è successo con l’ubriacatura dello zoom (significava modernità, rottura di alcuni schemi grammaticali) o con l’uso scriteriato che la fiction italiana fa del flashback d’apertura. Grosso modo, l’abuso di questi stereotipi ricorda certi tic della lingua parlata: «come dire», «assolutamente sì», «in qualche modo», «quant’altro». A questa irresponsabilità verbale Giuseppe Pontiggia ha dedicato pagine memorabili.
Il meccanismo è quello della nomination, che significa designazione, candidatura. L’assegnazione delle nomination precede solitamente una seconda votazione nella quale viene scelto il vincitore del premio. Nei reality il termine si capovolge e assume un’accezione negativa: il nominato è quello che deve tornarsene a casa, l’escluso, il fatto fuori (quasi sempre dal televoto). La nomination segue un suo protocollo che, in termini televisivi, si traduce in un pausa. Pausa significa interruzione del flusso, suspense, svolta. Di solito, i «nominati», siano esse le candidate a Miss Italia o gli inquilini della Casa, esprimono un momento di solidarietà: si tengono per mano, si abbracciano, si sostengono a vicenda. Poi gli scampati piangono (o fingono di) la sorte degli eliminati. Ma tutto questo cerimoniale non avrebbe senso se non ci fosse quella trentina di secondi di sospensione. Trenta secondi in tv sono tantissimi, tanti quanti la durata di uno spot. Trenta secondi, una musica di sottofondo da film giallo e poi l’urlo della conduttrice: «Francesca, sei stata nominata!». Come già diceva Cicerone «Quasi vero mihi difficile sit nominatim proferre…», com’ è difficile fare le nomination!
(Dal Corriere della Sera, 22/4/2009).
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