Brasile, storica sentenza della Corte Suprema: le rivendicazioni territoriali degli Indios non si possono bloccare
Una storica sentenza per il Brasile e una buona notizia per la lotta al cambiamento climatico. A Brasilia, la Corte Suprema ha liquidato il tentativo dello Stato di Santa Catarina, spalleggiato dalle compagnie agricole, di bloccare l’espansione dell’area territoriale reclamata da un gruppo indigeno. Nove degli undici giudici si sono schierati a favore dei nativi premiandoli con una vittoria che va ben oltre la loro singola istanza e avrà importanti implicazioni per tutto il territorio brasiliano, in particolare per i destini della foresta amazzonica.
Battuto lo Stato di Santa Catarina, che col sostegno delle compagnie agricole chiedeva di fissare al 1988 lo stato delle terre in Amazzonia
L’azione legale dello Stato di Santa Catarina poggiava su una teoria giuridica elaborata dai gruppi di interesse che contrastano le rivendicazioni territoriali degli indigeni. Teoria secondo la quale la data di promulgazione della Costituzione brasiliana, il 5 ottobre 1988, fisserebbe anche un punto temporale, una deadline oltre la quale non si sarebbe più dovuto consentire agli indios di occupare terre o di rivendicarne il diritto a una futura occupazione. Questo anche per garantire certezza legale ai proprietari terrieri.
Teoria polverizzata dal verdetto della Corte Suprema. “Le aree occupate dagli indigeni e le aree riconducibili ai loro ascendenti e alle loro tradizioni devono godere di protezione costituzionale, anche se non sono delimitate” ha affermato il giudice Luiz Fux, il sesto giudice a votare a favore dei nativi portando la sentenza dalla loro parte. Manco a dirlo, gli unici due giudici a favore di Santa Catarina erano stati nominati dall’ex presidente Jair Bolsonaro, deciso a contrastare i reclami degli indios e a spingere per una loro assimilazione.
Sebbene il caso coinvolgesse un unico gruppo, la Corte Costituzionale ha voluto caratterizzare il suo verdetto come portatore di “ripercussioni generali”, ovvero come il “precedente” con cui si dovranno misurare tutte le cause concernenti il popolo indigeno. In particolare, si abbatterebbe sulle centinaia di procedure amministrative e sulle iniziative in corso per portare al Congresso una proposta che dia valore di legge al termine temporale del 1988.
Tuttavia, da simili iniziative legislative derivano altre minacce per la popolazione indigena: l’alleggerimento delle restrizioni allo sfruttamento minerario, la costruzione di dighe, progetti agricoli e di trasporti attraverso le terre indigene. “Abbiamo vinto una battaglia, non la guerra”, ha realisticamente commentato il coordinatore esecutivo di un gruppo di attivisti, Apib, “continueremo a combattere finché i territori indigeni non saranno finalmente delimitati, di modo che i diritti del popolo indigeno siano salvaguardati e protetti”.
A differenza del suo predecessore, il presidente Lula ha dedicato grande attenzione agli indios e alle loro rivendicazioni, creando il primo Ministero dei Popoli Indigeni nella storia del Brasile, nominando a capo del dicastero una nativa, Sonia Guajajara, e marcando a tutti gli effetti otto nuovi territori indigeni. Attualmente l’area territoriale riconosciuta alle popolazioni native rappresenta il 14% del vasto territorio del Brasile, secondo i dati dell’ Instituto Socioambiental. Il processo di riconoscimento ufficiale di un territorio indigeno può durare per decenni.
repubblica.it | 22.09.2023